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Caro Direttore,
scrivo come socio fondatore dell’Associazione per la riduzione del debito pubblico (Ardep) a proposito dell’editoriale di Ernesto Galli della Loggia sull’incapacità della politica di suscitare un ideale, una prospettiva, uno slancio collettivo al nostro Paese.

Se ci pensiamo, l’ultimo obbiettivo unificante è stato l’ingresso nell’Euro per il quale sopportammo nel 1996 una manovra finanziaria da 62 mila miliardi di lire. Da allora, solo polemiche e divisioni. Eppure ci potrebbe essere un nuovo obbiettivo politico unificante, anche se forse difficile da spiegare e da raggiungere. E’ proprio la lotta al debito pubblico che, se ci pensiamo bene, rappresenta la somma delle nostre deficienze, dei nostri errori, delle nostre furbizie degli ultimi decenni. E dovrebbe essere soprattutto una responsabilità della nostra generazione, di chi ha oggi tra 50 e 70 anni, ridurre il debito a dimensioni sopportabili, per non lasciare ai nostri figli e nipoti un’eredità pesantissima. Allora, perché la politica non si dà l’obbiettivo di ridurre il debito dall’attuale 118-120% del Pil al 90-100% nei prossimi dieci anni? E perché non fa diventare questo obbiettivo un ideale collettivo che richiederà certo notevoli sacrifici, ma avrà anche grandi vantaggi, a cominciare dalla riduzione degli 80 miliardi di euro che lo Stato paga ogni anno in interessi passivi e che potrebbero in parte essere dedicati a rafforzare i servizi sociali o a promuovere la crescita e l’occupazione soprattutto per i giovani?
Una grande politica antidebito richiederebbe l’impegno di tutti: dei dipendenti pubblici che già con la manovra sono chiamati al sacrificio del blocco degli stipendi, ma anche dei ceti più ricchi che potrebbero essere chiamati a contribuire alla riduzione del debito con un prelievo straordinario che non andrebbe ad alimentare nuova spesa pubblica e potrebbe dunque essere più accettabile. E poi tutti coloro che per un verso o per l’altro hanno approfittato lecitamente o illecitamente della spesa pubblica, dovrebbero essere chiamati a un’opera di “restituzione”. Perché non stabilire per esempio che i proventi della lotta all’evasione fiscale vadano per il 50% almeno alla riduzione del debito, al pari dei proventi di una nuova stagione di privatizzazioni nazionali e locali o dei patrimoni confiscati alla criminalità organizzata? E si potrebbe continuare. Insomma, se la Prima Repubblica ha creato il debito che ci opprime tutti, la Seconda dovrebbe avere l’orgoglio di liberarci da questo fardello.

Cordiali saluti

Paolo Mazzanti

Roma

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