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 Le recenti tensioni (e feroci polemiche) tra Stato, Regioni e autonomie locali, in materia di poteri di ciascuno per intervenire con misure necessarie ad arginare la pandemia di Covid-19, hanno fatto emergere, in tutta la sua evidenza, la fragilità del progetto federalista avviato in Italia con la riforma Costituzionale del 2001 e con la Legge 42 del 2009, proposta dall’allora Ministro Calderoli, per dare attuazione concreta alla cosiddetta “devolution”.

In effetti, una volta individuate le materie di competenza di ciascuno dei livelli di governo (Legge di riforma costituzionale n. 3/2001) occorreva definire un sistema di attribuzione di risorse che superasse il criterio della spesa storica e che instaurasse una proporzionalità diretta tra le risorse riscosse e quelle utilizzate da ogni singolo ente, fatta salva la necessaria solidarietà “perequativa” tra i diversi territori nazionali. La distribuzione delle materie è avvenuta in maniera confusa e resta, non da ora, fonte di incertezze sottolineate in modo unanime dalla dottrina. Allo stesso modo è mancato il raccordo tra una adeguata distribuzione delle risorse e i servizi resi dagli enti, o, al contrario, l’attribuzione dei servizi all’ente che possiede le risorse e l’organizzazione per svolgerli in modo adeguato.

Rapporto Stato-Regioni, quello che emerge è un quadro sconfortante

Si è parlato e scritto molto di federalismo negli anni successivi al 2009, in occasione del varo dei decreti legislativi adottati dall’allora Governo Berlusconi in attuazione dell’art. 19 della legge delega. Se volessimo fare oggi il punto della situazione sul grado di attuazione dell’impianto federalista nel nostro Paese, il quadro che emerge è sconfortante perché esso si presenta, in concreto, ancora in gran parte da completare. Inoltre, nel corso dell’ultimo decennio, i contenuti di alcuni decreti sono stati oggetto di numerose e significative modifiche. Il Decreto Legislativo 118 del 2011, “modifica dei sistemi contabili degli enti locali e loro armonizzazione”, uno dei pochi punti di attuazione della legge delega, ha subito ben 34 modifiche e/o integrazioni attraverso leggi ordinarie, che hanno dato vita ad un sistema, che non sono l’unica a definire “bizantino”.

Sono trascorsi venti anni dalla Legge di modifica Costituzionale e dieci anni dall’approvazione della suddetta normativa: la distribuzione delle materie contenute nell’art. 117 della Costituzione resta confusa e il federalismo continua a rimanere nel nostro Paese solo un importante tentativo nella storia delle relazioni istituzionali tra lo Stato e gli altri livelli di governo.

La legislazione in materia di finanza pubblica successiva alla Legge 42 è stata contrassegnata da continui interventi emergenziali per finanziare l’equilibrio dei conti pubblici e il rispetto dei vincoli comunitari. In questo quadro è mancato e continua a mancare un sistema di finanziamento assestato destinato alle funzioni devolute. Le cause possono rinvenirsi nel mancato esercizio del potere di delega; necessità di contenimento della spesa pubblica; inadeguata adozione di meccanismi sanzionatori e premiali, (gli enti virtuosi che non hanno aumentato le aliquote sono penalizzati; quelli che hanno utilizzato la leva fiscale per porre rimedio ai conti in disordine, sono premiati); mancanza di direttive politiche per l’individuazione di nuovi criteri di redistribuzione delle risorse sul territorio nazionale, (il metodo statistico rappresenta una scelta tecnica solo in apparenza perché da essa dipende la distribuzione di risorse finanziarie che è un effetto tipicamente politico); una fase di transizione che perdura, mantenendo un sistema di finanza derivata dallo Stato. Gli effetti sono la sostanziale disapplicazione dell’art. 119 della Costituzione.

Eppure il disegno federalista resta ancora condivisibile ma manca il rapporto tra indirizzo politico e scelte tecniche per completarlo. In sostanza le legislature successive non hanno saputo (o potuto) adeguatamente governare l’introduzione di innovazioni così sostanziali.

Per contro l’elevato tecnicismo della trasformazione della finanza locale, da derivata ad autonoma, richiede il contributo di organismi tecnici, il cui apporto non può certo sostituirsi agli indirizzi politici in materia, ma deve costituirne il presupposto istruttorio in sede tecnica. Al di la dei problemi istituzionali, il nostro Paese è caratterizzato da una estrema debolezza di tecnica e di cultura scientifica e tecnologica. Ovvero di mancanza di infrastrutture tecniche e amministrative indipendenti, capaci di supportare il decisore politico nella soluzione dei problemi pratici, attraverso raccolta ed analisi di dati, formulazione di ipotesi di lavoro, redazione di pareri e definizione di metodologie. Ne sono prova le diverse riforme che da molti anni attendono il via, come quella del catasto e del fisco. Governare significa saper assumere decisioni e tradurle in leggi, ma poi bisogna che a queste si diano gambe creando strutture e istituzioni capaci di renderle operative. Un leale rapporto della politica con il sapere della scienza e della tecnica resta imprescindibile a qualunque livello di governo del Paese.

 

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