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Etica e politica

Primi. In una gara tra 14 paesi molto “sviluppati” siamo arrivati primi. Abbiamo battuto nell’ordine: gli USA, la Corea del Sud, la Polonia, l’Ungheria, la Francia, il Canada, il Belgio, l’Australia, la Gran Bretagna, la Spagna, il Giappone, la Germania e la Svezia. Ma in che cosa consisteva la sfida? Semplice: stabilire qual è la popolazione più ignorante! Nel senso tecnico del termine: chi è più distante dal dato reale, cioè chi ignora maggiormente come stanno davvero le cose. E - purtroppo - noi italiani vinciamo con ampio margine.

Lo dimostra una ricerca realizzata lo scorso anno dalla Ipsos Mori. Dallo studio, intitolato “Le percezioni non sono la realtà”, emerge il modo in cui la popolazione interpreta la propria situazione rispetto ad alcuni argomenti di carattere sociale, come ad esempio l’età media della popolazione, la percentuale di disoccupati o di immigrati, l’aspettativa media di vita e il numero di omicidi. E i risultati dell’Italia mostrano chiaramente l’enorme distanza tra ciò che crediamo di sapere e la realtà effettiva. Vediamo in dettaglio i dati più interessanti che riguardano l’Italia.

La tematica in cui il nostro tasso di ignoranza raggiunge in assoluto il livello più alto è la disoccupazione. Alla domanda: “tra le persone in età lavorativa, quanti sono disoccupati o in cerca di lavoro nel tuo Paese?”. Risposta: il 49%, mentre in realtà si tratta del 12% (+ 37 punti). Gli italiani credono che la metà della popolazione attiva non abbia lavoro, quadruplicando il dato reale.

Ma in termini relativi l’ignoranza degli italiani emerge clamorosamente con la percentuale di adolescenti che partoriscono. Alla domanda: “quanti sono in un anno i nati da madri tra i 15 e i 19 anni?”, la risposta media è stata: il 17%. In realtà si tratta dello 0,5% dei nati (+16,5 punti). Il dato è sovrastimato di 34 volte!

Anche sugli anziani la percezione che abbiamo è molto distorta. Infatti, alla domanda: “Qual è la percentuale di persone con un’età superiore ai 65 anni?”, gli italiani in media credono che si tratti del 48% della popolazione. In realtà sono il 21%. La stima (+ 27 punti) è oltre il doppio della realtà.

Anche sulla questione dell’immigrazione l’ignoranza abbonda. Alla domanda “quanti sono gli immigrati nel tuo Paese?”, la risposta degli italiani è stata: il 30%. Il dato reale è del 7% (+23 punti). La stima è oltre il quadruplo della realtà.

Analogamente alla domanda su quanti sono i musulmani in Italia, la risposta è stata: il 20%, mentre invece si tratta del 4% (+ 16 punti). La stima è il quintuplo del reale.

Ma non sbagliamo soltanto sui musulmani. Anche sui cristiani ne sappiamo poco: la media delle risposte stima la presenza dei cristiani in Italia al 69%. In realtà si tratta dell’83% della popolazione (- 14 punti).

 “Qual è stata la percentuale dei votanti alle ultime elezioni nazionali?”. Risposta degli italiani: il 54%, ma il dato reale è del 75% (- 21 punti).

Infine: “Il tasso di omicidi in Italia è in aumento?”. Il 64% degli italiani ne è convinto. Il 18% pensa che sia in calo e un altro 18% non lo sa. In realtà gli omicidi sono in calo. Insomma, siamo ampiamente fuori strada.

Sommando tutti i punti in valore assoluto, cioè la distanza tra ciò che si percepisce e ciò che è, emerge l’indice di ignoranza generale. E l’Italia è prima.

Come ha scritto Beppe Severgnini sul Corriere della Sera: “Sono dati allarmanti. Perché la discussione pubblica italiana parte di qui: da una somma di percezioni clamorosamente sbagliate. La politica - che pure dovrebbe conoscere la situazione - non si premura di ripetere i dati corretti. Usa la nostra ignoranza, invece. Ci costruisce sopra proposte, programmi, allarmi, proteste.  I media hanno responsabilità, ovviamente: se informiamo male, o non informiamo, la gente rischia di credere alla prima sciocchezza che sente. Ma non è solo colpa dei media. Spesso si tratta di quella che gli psicologi chiamano «ignoranza razionale»: si decide di non voler sapere. Pensate a certi quotidiani o a certi commentatori. Chi li legge/li ascolta/li guarda non vuol essere informato: chiede solo di essere confermato nei propri pregiudizi.  I pregiudizi, infatti, rassicurano: evitano il fastidio del dubbio. Le idee confuse consolano: permettono di lamentarsi senza protestare, di commiserarsi senza impegnarsi”.

A confermare l’analisi di Severgnini è anche l’indice della libertà dell’informazione giornalistica prodotto annualmente dall’associazione Reporters Without Borders. Oltre a misurare la libertà e l’indipendenza delle testate e dei giornalisti, l’indice prende in considerazione anche la trasparenza della regolamentazione dei media da parte del legislatore e dell’esecutivo e il grado di concentrazione della proprietà dei mezzi di informazione.

Mettendo in relazione i dati della ricerca sull’indice di ignoranza con il grado di indipendenza del sistema informativo dei vari Paesi, emergono connessioni statisticamente molto significative. L’Italia, la Polonia e la Corea hanno indici di libertà di informazione tra i più bassi e livelli di ignoranza tra i più alti del campione. Esattamente il contrario di Svezia, Germania e Giappone. Quasi due terzi della variazione nella classifica di ignoranza sono spiegati solamente dalla variazione nella classifica della libertà dell’informazione. E aggiungendo il livello di reddito pro-capite si raggiunge un potere esplicativo dell’80 per cento (con il coefficiente della libertà di informazione che rimane altamente significativo).
In altre parole l’ignoranza di un popolo è proporzionale ad un’informazione asservita al potere e allo scarso reddito, che implica minori possibilità di istruzione, cultura e partecipazione attiva e critica.
Anche il primo rapporto sulla promozione della lettura presentato nel 2013 conferma pienamente queste ipotesi. Infatti dai dati emerge che l’82% dei cittadini tedeschi legge almeno un libro all’anno. In Francia si arriva al 70% e in Spagna al 61%. In Italia siamo al 46%, con una significativa differenza tra donne (52%) e uomini (40%). Per dirla tutta: i più ignoranti sono gli italiani, soprattutto se maschi.

Lorenza Carlassare, costituzionalista, recentemente ha scritto: “L’ignoranza isola dalla vita collettiva, ostacola la partecipazione o la deforma rendendo difficile orientarsi, valutare, comprendere. E soprattutto non è difficile per il potere, con i mezzi di cui dispone, legittimamente o illegittimamente, manipolare i concetti secondo la convenienza politica per convincere cittadini impreparati”.

I nuovi media dovrebbero permettere ai cittadini di informarsi direttamente attraverso una molteplicità di fonti, andando oltre l’informazione tradizionale. In effetti, i Paesi con la più alta percentuale di utenti internet tendono in genere ad avere i più bassi indici di ignoranza. Per esempio, l’Italia ha la più bassa penetrazione di internet del campione, mentre la Svezia, ultima nell’indice di ignoranza, ha quella più alta.

L’economista Massimiliano Calì, commentando questi intrecci di dati, conclude: “Quando il giornalismo non è pienamente indipendente dal potere politico ed economico e la legislazione che regola i mezzi di informazione non è trasparente, stampa, tg e nuovi media non informano i cittadini adeguatamente anche su temi sociali e politici di centrale importanza per la società. E visto che gran parte dei cittadini attingono queste informazioni principalmente dai media (tradizionali), finiscono per essere male informati. Suona familiare?”.

Viene alla mente una canzone di Giorgio Gaber sulle trasmissioni a premi che quotidianamente infestano le TV: “Vi presento la mia famiglia / è la più disgraziata d'Italia / il bel paese sorridente / dove si specula allegramente / sulle disgrazie della gente / pronto pronto pronto / come ti chiami da dove chiami / ci son per tutti tanti premi / tanti gettoni tanti milioni / stiam diventando tutti scemi / stiam diventando tutti coglioni / con Berlusconi o con la RAI”.

Purtroppo questa “dilagante stupidità” (per dirla ancora con Giorgio Gaber) non è una caratteristica soltanto del cittadino medio. Proprio attraverso la televisione abbiamo constatato come diversi parlamentari italiani non conoscano affatto la Costituzione Repubblicana, mentre questo dovrebbe essere un prerequisito fondamentale anche soltanto per poter rispettare l’art. 54: “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”.

Luigi Sturzo, intervenendo nel 1957 nell’Aula del Senato, disse: “La Costituzione è il fondamento della Repubblica democratica. Se cade dal cuore del popolo, se non è rispettata dalle autorità politiche, se non è difesa dal governo e dal parlamento, se è manomessa dai partiti, se non entra nella coscienza nazionale, anche attraverso l’insegnamento e l’educazione scolastica e post-scolastica, verrà a mancare il terreno sul quale sono fabbricate le nostre istituzioni e ancorate le nostre libertà”. Sembrano parole scritte in questi giorni e che esprimono una forte preoccupazione per quanto sta accadendo.

L’elevata ignoranza della realtà e la scarsa consapevolezza costituzionale sembrano andare di pari passo e probabilmente in Italia sono amplificate dall’affievolirsi del ruolo delle formazioni sociali, cioè dei corpi intermedi che concorrono in modo significativo a plasmare la personalità dei cittadini. La presenza nella società di una forte e organizzata rete di relazioni e di associazioni è il presupposto dinamico della nostra Costituzione. Il singolo individuo, se lasciato solo in balia del sistema politico ed informativo, tenendo conto anche dell’evidente conflitto di interessi radicato nel nostro Paese, rischia di diventare un suddito, più che un sovrano (per usare una terminologia cara a don Lorenzo Milani).

Lo scrittore e medico umanista François Rabelais sosteneva che l’ignoranza è la madre di tutti i mali. Se oggi l’Italia è in evidente crisi a livello culturale e politico, logica vorrebbe che tutti ci ponessimo alla ricerca delle cause, per cercare di uscire dalla palude dell’ignoranza e dal tunnel della disinformazione.

Gherardo Colombo in un suo recente libro ha scritto che: “La democrazia necessita di informazione e cultura. Ha bisogno di attenzione assidua, non consente distrazioni, va costruita e mantenuta ogni giorno. La democrazia non può prescindere dalla partecipazione. La democrazia è faticosa, impegnativa, difficile”.

I Costituenti lo sapevano bene. Non a caso la XVIII (e ultima) Disposizione finale stabilisce che “il testo della Costituzione è depositato nella sala comunale di ciascun Comune della Repubblica per rimanervi esposto, durante tutto l’anno 1948, affinché ogni cittadino possa prenderne cognizione”. Ma già durante i lavori dell’Assemblea nel 1947 fu approvato all’unanimità un ordine del giorno presentato da Aldo Moro e altri deputati che esprimeva il voto che “la nuova Carta Costituzionale trovi senza indugio adeguato posto nel quadro didattico della scuola di ogni ordine e grado, al fine di rendere consapevole la giovane generazione”.  Proprio Aldo Moro, una decina d’anni più tardi, da Ministro della Pubblica Istruzione introdusse “l’insegnamento dell’educazione civica” nei programmi scolastici. “Ogni parola non imparata oggi è un calcio in culo domani”, era solito dire don Lorenzo Milani ai suoi ragazzi di Barbiana.

Sergio Mattarella nel messaggio al Parlamento il giorno del giuramento come Presidente della Repubblica ha espresso in modo chiaro quale deve essere il suo ruolo e la sua funzione: “Il Presidente della Repubblica è garante della Costituzione. La garanzia più forte della nostra Costituzione consiste, peraltro, nella sua applicazione.

Nel viverla giorno per giorno. Garantire la Costituzione significa garantire il diritto allo studio dei nostri ragazzi in una scuola moderna in ambienti sicuri, garantire il loro diritto al futuro. Significa riconoscere e rendere effettivo il diritto al lavoro. Significa promuovere la cultura diffusa e la ricerca di eccellenza, anche utilizzando le

nuove tecnologie e superando il divario digitale. (…) Significa rimuovere ogni barriera che limiti i diritti alle persone con disabilità. (…) Significa garantire l'autonomia ed il pluralismo dell'informazione, presidio di democrazia”.

Oggi è necessario continuare a trasmettere con perseveranza soprattutto ai giovani il nostro Patto di Cittadinanza, che deve essere – come diceva Giuseppe Dossetti - “per tutti punto di riferimento e di chiarimento” per migliorare il nostro Paese. Perché anche l’ignoranza è un dato storico: si può cambiare.

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