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Creato: Domenica, 14 Agosto 2022 00:00
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Scritto da Rocco Artifoni
Favole. Questa è l’unica parola che mi è venuta in mente dopo aver letto “Per l’Italia”, le otto cartelle dell’Accordo quadro di programma per un Governo di centrodestra. Perché si tratta di un impressionante elenco della spesa, senza che si dica dove trovare le risorse necessarie. Anzi, con la prospettiva di diminuire le attuali entrate.
Infatti, sul fronte delle uscite si propone: allineamento alla media europea della spesa pubblica per infanzia e famiglia; piano di sostegno alla natalità, prevedendo anche asili nido gratuiti; aumento dell'assegno unico e universale; sostegno concreto alle famiglie con disabili a carico; adeguamento dell'organico e delle dotazioni delle Forze dell'Ordine e dei Vigili del Fuoco; riqualificazione di quartieri, edifici, stazioni, strade e parchi in stato di degrado e di illegalità diffusa; incremento dell'organico di medici e operatori sanitari; incentivi all'imprenditoria femminile e giovanile; innalzamento delle pensioni minime, sociali e di invalidità; piano straordinario di riqualificazione delle periferie, anche attraverso il rilancio dell'edilizia residenziale pubblica; programma straordinario di resilienza delle aree a rischio dissesto idrogeologico con interventi mirati; rimboschimento e piantumazione di alberi sull'intero territorio nazionale; piano per l'eliminazione del precariato del personale docente e investimento nella formazione e aggiornamento dei docenti; allineamento ai parametri europei degli investimenti nella ricerca; programma di investimento e potenziamento dell'impiantistica sportiva, anche scolastica e universitaria; ecc.
Si tratta, come è evidente, di costi notevoli, di parecchie decine di miliardi di euro. A logica, dovendo trovare le risorse necessarie per questi investimenti, ci si aspetterebbe un incremento delle entrate. E invece queste sono le intenzioni: riduzione della pressione fiscale per famiglie, imprese e lavoratori autonomi; abolizione dei micro tributi; politiche fiscali ispirate al principio del "chi più assume, meno paga"; estensione della flat tax per le partite IVA fino a 100'000 euro di fatturato, con la prospettiva di ulteriore ampliamento per famiglie e imprese; riduzione dell'aliquota IVA sui prodotti e servizi per l'infanzia; estensione prestazioni medico sanitarie esenti da ticket; taglio del cuneo fiscale in favore di imprese e lavoratori; interventi sull'IVA per calmierare i prezzi dei beni di prima necessità e ampliamento della platea dei beni con IVA ridotta; riduzione IVA sui prodotti energetici; defiscalizzazione e incentivazione del welfare aziendale, anche attraverso detassazione e decontribuzione premi di produzione e buoni energia; decontribuzione per il lavoro femminile, gli under-35, i disabili, e per le assunzioni nelle zone svantaggiate; ecc.
In sintesi, il programma di governo del centrodestra è semplice: aumentare le spese e diminuire le tasse. Il risultato inevitabile dovrebbe essere un bilancio che chiude in rosso, con un forte aumento del deficit. Il che significa incrementare ulteriormente il già eccessivo debito pubblico dell’Italia. A proposito: il programma del centrodestra è composto da 15 capitoli e da 149 punti o proposte, ma da nessuna parte compaiono le parole deficit o debito. Come se l’Italia non avesse questo problema. Tanto più che gli interessi sui titoli di stato sono in aumento.
Alcide De Gasperi diceva: “Cercate di promettere un po’ meno di quello che pensate di realizzare se vinceste le elezioni”. Invece, nelle campagne elettorali spesso capita di sentire promesse che non si possono mantenere. Ma ciò non significa che sia tollerabile ed accettabile. Votare per il Parlamento è una cosa seria. E la Costituzione stabilisce che “ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte” (art. 81) e che “le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico” (art. 97). Un poeta ha scritto che da piccoli ci raccontano molte favole, ma che da grandi conosciamo tutte le favole…
Il programma elettorale a cui si fa riferimento può essere letto al seguente link:
https://www.rainews.it/dl/doc/1660237505665_PROGRAMMAPERLITALIA.pdf
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Creato: Mercoledì, 06 Aprile 2022 00:00
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Scritto da Anna Paschero
La notizia è passata in sordina a causa della modalità di formulazione della legge – quella che approva il bilancio dello Stato per l’anno 2022 – che si limita a parametrare in misura percentuale le indennità di funzione degli amministratori locali a quella dei presidenti delle Regioni a statuto ordinario, (come individuata dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera b) del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174), senza indicarne in maniera esplicita i valori.
Ma i costi non sono irrilevanti: a regime 220 milioni di Euro all’anno di spesa pubblica aggiuntiva, tutti finanziati con maggiore debito (oggi al 156% del PIL nazionale) e 44 milioni di effetti indotti da maggiori entrate tributarie locali. La misura, e non lo si scrive con intento polemico, ma paradossalmente con l’estrema consapevolezza della vergognosa strumentalizzazione che si è fatto in un recente passato dei costi della politica, è stata approvata anche dai parlamentari di quei “partiti” che sull’onda della protesta contro i privilegi della casta hanno creato in passato le loro fortune elettorali.
Infatti, tra il cavalcare e fomentare furiosamente la rabbia di ieri e chiedere il raddoppiamento delle indennità oggi, dopo la pandemia (non ancora terminata) e la guerra in Ucraina in corso, è lecito domandarsi in quale buco nero sia finita la coerenza. Le motivazioni, però, pare vadano ricercate nella necessità di migliorare – nobile fine – la qualità del “personale” politico addetto al governo locale, che conta sul territorio nazionale di 6'565 enti su un totale di 7'903, comprensivo quest’ultimo degli enti locali delle Regioni a statuto speciale escluse dal provvedimento.
Le nuove indennità dovrebbero favorire le candidature alla carica di Sindaco anche di persone con livelli di competenze elevate e con redditi medio alti cui queste ultime potrebbero rinunciare per svolgere l’attività di amministratore a tempo pieno. Ma anche nel fatto che gli attuali compensi sono datati all’anno 2000, ridotti del 10% nel 2006 e rivalutati per i soli comuni fino a 3 mila abitanti solo nel 2019.
In altre parole, una sorta di campagna acquisti come nel calcio, in cui i partiti sono i procuratori…
L’indennità resta agganciata, come in passato, alla dimensione demografica dell’ente, ma viene calcolata in misura percentuale al compenso massimo percepito dai Presidenti delle Regioni a statuto ordinario che equivale a 13'800 euro lordi mensili. L’applicazione della misura sarà graduale a meno che l’Ente sia in grado di garantirne totalmente la copertura finanziaria a partire dall’anno in corso, il 2022, con proprie risorse e senza alterare gli equilibri di bilancio.
Ai Sindaci delle Città Metropolitane è garantito il raddoppio dell’attuale indennità in quanto riceveranno il 100% del compenso previsto per i Presidenti di Regione. Le indennità di funzione da corrispondere ai vicesindaci, agli assessori ed ai presidenti dei consigli comunali sono adeguate all’indennità di funzione dei corrispondenti sindaci come incrementate per effetto di quanto sopra con l’applicazione delle percentuali previste per le medesime finalità dal decreto del Ministro dell’interno del 4 aprile 2000, n. 119.
Ma quali saranno gli effetti per i cittadini chiamati, di fatto, a finanziare questi aumenti?
Una amministrazione delle loro risorse a livello locale più consapevole e manageriale?
Maggiori e più efficienti servizi pubblici?
Sarà tutto da verificare, anche perché, come è noto, la scelta delle candidature avviene per iniziativa delle forze politiche che basano, di norma, le loro scelte non tanto sulle competenze possedute dal loro personale politico, ma piuttosto sulla capacità di quest’ultimo di ottenere consenso e quindi di vincere le elezioni.
Per poter svolgere la funzione di amministratore locale, e anche quella di rappresentante nelle istituzioni nazionali, come è noto, è sufficiente dimostrare di sapere leggere e scrivere. Non vengono richieste altre conoscenze, nemmeno quella della Costituzione Italiana a cui si giura fedeltà.
Forse, la manovra espansiva contenuta nell’ultima legge di bilancio, che prevede un livello massimo di ricorso al mercato finanziario (al netto delle operazioni di rimborso del debito preesistente) di 480 miliardi nel 2022, 490 miliardi nel 2023 e 435 miliardi nel 2024, avrebbe potuto essere accompagnata, per la specifica misura di cui si tratta, di qualche disposizione atta a verificare almeno un minimo di competenze da possedere per accedere alle cariche istituzionali, alla stregua di quanto avviene da sempre per l’assunzione dei dipendenti pubblici ai relativi impieghi.
Altrimenti a pagarne ancora le spese, previste anche nella legge di bilancio 2020 (Art. 1 commi da 567 a 582) a ripiano dei disavanzi e delle difficoltà economiche dei comuni, continueranno ad essere i soliti noti.
Fonte: https://www.laportadivetro.org/in-tempo-di-guerra-e-pandemia-raddoppia-lindennita-ai-sindaci/