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Etica e politica

Verso il voto, senza consapevolezza

«La democrazia è il potere di un popolo informato» (Alexis de Tocqueville). In vista delle elezioni del 25 settembre, il dubbio sorge spontaneo: gli italiani sono informati? Stando ad una ricerca realizzata da IPSOS qualche anno fa, tra i 14 principali Paesi dell’OCSE l’Italia era al primo posto per “indice di ignoranza” (seguiti dagli USA).

Per decidere a chi dare il voto si potrebbero leggere con attenzione i programmi elettorali dei partiti in lista: quasi 700 pagine in tutto. Ma ci vuole molto tempo e non è un esercizio semplice. I programmi sono infarciti di promesse che non hanno riscontri. Quasi sempre si tagliano le tasse e si aumentano le spese, senza spiegare dove si vanno a prendere le risorse necessarie. Inoltre, chi ci garantisce che quanto è scritto nel programma elettorale venga poi realizzato e non diventi la solita promessa tradita?

Proviamo ad approcciarci al voto con un altro metodo: analizzare i principali parametri della situazione economica e finanziaria, base fondamentale per qualsiasi proposta di politica economica non campata per aria.

Ecco una fotografia sintetica dell’Italia:

  1. Grande disuguaglianza economica: tra i primi posti in Europa nell’indice Gini che misura la differenza di distribuzione delle ricchezze.

  2. Sistema tributario iniquo per diverse ragioni: ad esempio con la vigente flat tax un lavoratore autonomo paga meno della metà delle imposte di un lavoratore dipendente.

  3. Enorme debito pubblico: 2'770 miliardi di euro (in rapporto al Prodotto Interno Lordo l’Italia è al secondo posto in Europa), con circa 60 miliardi di euro (in aumento) spesi ogni anno per pagare gli interessi.

  4. Scandalosa evasione fiscale: oltre 100 miliardi di euro ogni anno, con un’economia sommersa che supera i 200 miliardi di euro.

  5. Notevole ricchezza privata: oltre 6.000 miliardi di euro in immobili e 5.256 miliardi di euro di liquidità (con un aumento di 1.700 miliardi nell’ultimo decennio): sono quasi 200.000 euro a testa in media.

È facile comprendere come questi cinque punti elencati sono strettamente connessi. L’evasione fiscale aumenta la ricchezza privata e il debito pubblico. L’attuale sistema tributario favorisce alcuni redditi a scapito di altri e di conseguenza aumenta le disuguaglianze. L’elevato debito pubblico gravato dagli interessi rende difficili le politiche redistributive per diminuire la povertà.

Di fronte a questa situazione, che cosa ci si potrebbe aspettare da un serio e realistico programma di politica economica? Ecco alcune proposte che potrebbero cambiare radicalmente lo scenario italiano:
a) Verificare la congruità fra redditi e patrimoni, utilizzando massicciamente la banca dati dell’anagrafe dei rapporti finanziari:

  1. tutti i beni mobili e immobili non giustificabili dovrebbero essere sottoposti a confisca.

  2. Ampliare il conflitto di interessi tra fornitore e cliente, estendendo le detrazioni fiscali sui servizi ricevuti dalle categorie di contribuenti più propensi all’evasione.
  3. Ridurre al minimo l’uso del denaro contante, incentivando le forme tracciabili di pagamento.
  4. Rafforzare lo scambio di informazioni fra Stati per ridurre il trasferimento illegale di redditi all’estero, soprattutto verso i paradisi fiscali.
  5. Utilizzare il cumulo di tutti i redditi percepiti da ogni contribuente come base imponibile per il pagamento delle imposte.

  6. Ridisegnare gli scaglioni e le aliquote delle imposte sui redditi delle persone fisiche e giuridiche in modo da ripristinare una più marcata progressività, adottando come metodo di calcolo una funzione matematica continua (come ad esempio si fa in Germania).

  7. Individuare l’ISEE come strumento per la determinazione della reale capacità contributiva di ogni persona fisica, rendendo la dichiarazione ISEE obbligatoria per tutti.

Rintracciare nei programmi elettorali dei partiti proposte analoghe, fondate sull’equità e orientate verso la giustizia sociale, è compito assai arduo. Molto più facile trovare promesse che vanno nella direzione opposta. Ecco alcuni esempi: ampliamento della flat tax da 65'000 a 100'000 euro (Lega e centrodestra); innalzamento del limite dell’uso del denaro contante fino a 10'000 euro (Forza Italia); incremento della spesa pubblica con l’aumento del debito pubblico (Italexit); ecc.

Pier Paolo Pasolini dell’Italia diceva “che i suoi vizi sono ciclici, si ripetono incarnati da uomini diversi con lo stesso cinismo, la medesima indifferenza per l’etica, con l’identica allergia alla coerenza”. Come cantava Franco Battiato: “Povera patria!”.

 

Favole elettorali

Favole. Questa è l’unica parola che mi è venuta in mente dopo aver letto “Per l’Italia”, le otto cartelle dell’Accordo quadro di programma per un Governo di centrodestra. Perché si tratta di un impressionante elenco della spesa, senza che si dica dove trovare le risorse necessarie. Anzi, con la prospettiva di diminuire le attuali entrate.

Infatti, sul fronte delle uscite si propone: allineamento alla media europea della spesa pubblica per infanzia e famiglia; piano di sostegno alla natalità, prevedendo anche asili nido gratuiti; aumento dell'assegno unico e universale; sostegno concreto alle famiglie con disabili a carico; adeguamento dell'organico e delle dotazioni delle Forze dell'Ordine e dei Vigili del Fuoco; riqualificazione di quartieri, edifici, stazioni, strade e parchi in stato di degrado e di illegalità diffusa; incremento dell'organico di medici e operatori sanitari; incentivi all'imprenditoria femminile e giovanile; innalzamento delle pensioni minime, sociali e di invalidità; piano straordinario di riqualificazione delle periferie, anche attraverso il rilancio dell'edilizia residenziale pubblica; programma straordinario di resilienza delle aree a rischio dissesto idrogeologico con interventi mirati; rimboschimento e piantumazione di alberi sull'intero territorio nazionale; piano per l'eliminazione del precariato del personale docente e investimento nella formazione e aggiornamento dei docenti; allineamento ai parametri europei degli investimenti nella ricerca; programma di investimento e potenziamento dell'impiantistica sportiva, anche scolastica e universitaria; ecc.

Si tratta, come è evidente, di costi notevoli, di parecchie decine di miliardi di euro. A logica, dovendo trovare le risorse necessarie per questi investimenti, ci si aspetterebbe un incremento delle entrate. E invece queste sono le intenzioni: riduzione della pressione fiscale per famiglie, imprese e lavoratori autonomi; abolizione dei micro tributi; politiche fiscali ispirate al principio del "chi più assume, meno paga"; estensione della flat tax per le partite IVA fino a 100'000 euro di fatturato, con la prospettiva di ulteriore ampliamento per famiglie e imprese; riduzione dell'aliquota IVA sui prodotti e servizi per l'infanzia; estensione prestazioni medico sanitarie esenti da ticket; taglio del cuneo fiscale in favore di imprese e lavoratori; interventi sull'IVA per calmierare i prezzi dei beni di prima necessità e ampliamento della platea dei beni con IVA ridotta; riduzione IVA sui prodotti energetici; defiscalizzazione e incentivazione del welfare aziendale, anche attraverso detassazione e decontribuzione premi di produzione e buoni energia; decontribuzione per il lavoro femminile, gli under-35, i disabili, e per le assunzioni nelle zone svantaggiate; ecc.

In sintesi, il programma di governo del centrodestra è semplice: aumentare le spese e diminuire le tasse. Il risultato inevitabile dovrebbe essere un bilancio che chiude in rosso, con un forte aumento del deficit. Il che significa incrementare ulteriormente il già eccessivo debito pubblico dell’Italia. A proposito: il programma del centrodestra è composto da 15 capitoli e da 149 punti o proposte, ma da nessuna parte compaiono le parole deficit o debito. Come se l’Italia non avesse questo problema. Tanto più che gli interessi sui titoli di stato sono in aumento.

Alcide De Gasperi diceva: “Cercate di promettere un po’ meno di quello che pensate di realizzare se vinceste le elezioni”. Invece, nelle campagne elettorali spesso capita di sentire promesse che non si possono mantenere. Ma ciò non significa che sia tollerabile ed accettabile. Votare per il Parlamento è una cosa seria. E la Costituzione stabilisce che “ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte” (art. 81) e che “le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico” (art. 97). Un poeta ha scritto che da piccoli ci raccontano molte favole, ma che da grandi conosciamo tutte le favole…

Il programma elettorale a cui si fa riferimento può essere letto al seguente link:
https://www.rainews.it/dl/doc/1660237505665_PROGRAMMAPERLITALIA.pdf 

In tempo di guerra e pandemia raddoppia l’indennità ai sindaci

La notizia è passata in sordina a causa della modalità di formulazione della legge – quella che approva il bilancio dello Stato per l’anno 2022 – che si limita a parametrare in misura percentuale le indennità di funzione degli amministratori locali a quella dei presidenti delle Regioni a statuto ordinario, (come individuata dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera b) del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174), senza indicarne in maniera esplicita i valori.

Ma i costi non sono irrilevanti: a regime 220 milioni di Euro all’anno di spesa pubblica aggiuntiva, tutti finanziati con maggiore debito (oggi al 156% del PIL nazionale) e 44 milioni di effetti indotti da maggiori entrate tributarie locali. La misura, e non lo si scrive con intento polemico, ma paradossalmente con l’estrema consapevolezza della vergognosa strumentalizzazione che si è fatto in un recente passato dei costi della politica, è stata approvata anche dai parlamentari di quei “partiti” che sull’onda della protesta contro i privilegi della casta hanno creato in passato le loro fortune elettorali.

Infatti, tra il cavalcare e fomentare furiosamente la rabbia di ieri e chiedere il raddoppiamento delle indennità oggi, dopo la pandemia (non ancora terminata) e la guerra in Ucraina in corso, è lecito domandarsi in quale buco nero sia finita la coerenza. Le motivazioni, però, pare vadano ricercate nella necessità di migliorare – nobile fine – la qualità del “personale” politico addetto al governo locale, che conta sul territorio nazionale di 6'565 enti su un totale di 7'903, comprensivo quest’ultimo degli enti locali delle Regioni a statuto speciale escluse dal provvedimento.

Le nuove indennità dovrebbero favorire le candidature alla carica di Sindaco anche di persone con livelli di competenze elevate e con redditi medio alti cui queste ultime potrebbero rinunciare per svolgere l’attività di amministratore a tempo pieno. Ma anche nel fatto che gli attuali compensi sono datati all’anno 2000, ridotti del 10% nel 2006 e rivalutati per i soli comuni fino a 3 mila abitanti solo nel 2019.

In altre parole, una sorta di campagna acquisti come nel calcio, in cui i partiti sono i procuratori…

L’indennità resta agganciata, come in passato, alla dimensione demografica dell’ente, ma viene calcolata in misura percentuale al compenso massimo percepito dai Presidenti delle Regioni a statuto ordinario che equivale a 13'800 euro lordi mensili. L’applicazione della misura sarà graduale a meno che l’Ente sia in grado di garantirne totalmente la copertura finanziaria a partire dall’anno in corso, il 2022, con proprie risorse e senza alterare gli equilibri di bilancio.

Ai Sindaci delle Città Metropolitane è garantito il raddoppio dell’attuale indennità in quanto riceveranno il 100% del compenso previsto per i Presidenti di Regione. Le indennità di funzione da corrispondere ai vicesindaci, agli assessori ed ai presidenti dei consigli comunali sono adeguate all’indennità di funzione dei corrispondenti sindaci come incrementate per effetto di quanto sopra con l’applicazione delle percentuali previste per le medesime finalità dal decreto del Ministro dell’interno del 4 aprile 2000, n. 119.

Ma quali saranno gli effetti per i cittadini chiamati, di fatto, a finanziare questi aumenti?
Una amministrazione delle loro risorse a livello locale più consapevole e manageriale?
Maggiori e più efficienti servizi pubblici?

Sarà tutto da verificare, anche perché, come è noto, la scelta delle candidature avviene per iniziativa delle forze politiche che basano, di norma, le loro scelte non tanto sulle competenze possedute dal loro personale politico, ma piuttosto sulla capacità di quest’ultimo di ottenere consenso e quindi di vincere le elezioni.

Per poter svolgere la funzione di amministratore locale, e anche quella di rappresentante nelle istituzioni nazionali, come è noto, è sufficiente dimostrare di sapere leggere e scrivere. Non vengono richieste altre conoscenze, nemmeno quella della Costituzione Italiana a cui si giura fedeltà.

Forse, la manovra espansiva contenuta nell’ultima legge di bilancio, che prevede un livello massimo di ricorso al mercato finanziario (al netto delle operazioni di rimborso del debito preesistente) di 480 miliardi nel 2022, 490 miliardi nel 2023 e 435 miliardi nel 2024, avrebbe potuto essere accompagnata, per la specifica misura di cui si tratta, di qualche disposizione atta a verificare almeno un minimo di competenze da possedere per accedere alle cariche istituzionali, alla stregua di quanto avviene da sempre per l’assunzione dei dipendenti pubblici ai relativi impieghi.

Altrimenti a pagarne ancora le spese, previste anche nella legge di bilancio 2020 (Art. 1 commi da 567 a 582) a ripiano dei disavanzi e delle difficoltà economiche dei comuni, continueranno ad essere i soliti noti.

Fonte: https://www.laportadivetro.org/in-tempo-di-guerra-e-pandemia-raddoppia-lindennita-ai-sindaci/

 

La pace nella prospettiva dell'educazione socio-civico-politica

La prestigiosa rivista Limes ha come titolo dell’ultimo numero “La fine della pace”. Diversi giornali dicono che siamo in guerra e che non sappiamo come e quando ne usciremo. Uno studente che ha chiesto di parlare della guerra in corso fra Russia e Ucraina si è sentito rispondere: “non parliamo di cose tristi”. Come se la scuola potesse distrarsi o rimuovere il problema più lacerante della storia umana e la frustrazione antropologica che consegue la difficoltà di sostituire al "mors tua vita mea" il "vita tua vita mea".

All'elaborazione di una cultura di pace, oltre alla famiglia, è chiamata a contribuire la scuola, insieme alle associazioni giovanili, ai mass media, alle chiese e a tutti gli enti pubblici e privati la cui attività può incidere, direttamente o indirettamente, sulla mentalità, sulla qualità dei rapporti e sul senso complessivo dello stare e del crescere insieme.

La scuola, in virtù della sua capillare estensione, delle sue potenzialità culturali e relazionali e delle sue specifiche difficoltà congiunturali, è al centro di contrastanti pressioni, volte da un lato ad aprirla a tutto ciò che sia ritenuto socialmente importante e dall'altro a chiuderla a tutto ciò che non sia riconducibile a un compito istruttivo restrittivamente interpretato.

Anche ammettendo che la scuola abbia suoi compiti prioritari da affrontare, in cui nessun altro può sostituirla, non si può negare che il vero problema è quello di affrontarli in modo deontologicamente corretto, utilizzando le norme e i programmi vigenti per affrontare questioni strategicamente importanti e significative per i singoli ragazzi e per la società d'oggi e di domani.

Se volessimo raccogliere più precisamente tutto ciò che da anni bussa alle porte della scuola, con crescente consapevolezza delle implicazioni e delle connessioni con la vita reale, per trovarvi uno spazio curricolare o meglio un'attenzione "intelligente" di tipo interstiziale o di tipo trasversale, dovremmo parlare di educazione ai diritti umani, alla pace, allo sviluppo, alla salute, all’ambiente.

Questa problematica è soggetta in tutto il mondo ad approfondimenti, revisioni, accorpamenti sotto l'uno o l'altro termine, ritenuto più comprensivo o più strategico. Per la sua densità valoriale può alimentare conflitti, occupare spazi eccessivi nell'attività scolastica, degenerare nella chiacchiera, nel moralismo, nella faziosità.

Di qui le comprensibili cautele delle persone serie; ma di qui anche gli alibi di chi non vuole impegnarsi a pensare e a rinnovare una scuola, la cui auspicata migliore produttività non può comunque prescindere dalle motivazioni e dalle prospettive dell'apprendimento.

La pace, intesa come "nucleo pesante", in cui si addensano tutti i significati positivi della vita personale e sociale, non può considerarsi un tema estraneo, né di diritto né di fatto, alla vita scolastica. Anche quando non era esplicitamente tematizzata come finalità da perseguire da parte di tutti, in particolare degli educatori, di fatto la pace occupava un suo spazio nella letteratura, nella storia, nella filosofia, nel diritto, nella geografia, nell'economia e finalmente nell'educazione civica, che nella scuola ha avuto però sempre uno statuto precario. Oggi abbiamo la legge 92/2019 sull’educazione civica, che fa perno sulla Costituzione italiana, in cui sono stati “aggiornati” nel febbraio scorso gli artt. 9 e 41. Non è poco.

Nota: articolo uscito sul Giornale di Brescia, il 19/4/2022.
Cerca strade percorribili per orientarsi di fronte al grande male della guerra: cioè per cercare di capirlo e di viverlo in modo non superficiale e non distruttivo, ma con l'impegno a superarlo a tutti i livelli in una prospettiva non violenta. Ciò che è stato possibile a certe persone, in certi momenti, può diventare prima o poi una conquista definitiva o almeno duratura. Frattanto è più importante capire empaticamente, rispettare, aiutare, agire in termini di solidarietà che odiare chi non la pensa come noi.

Il lascito di David Sassoli

Ho chiesto a mia figlia Laura se aveva registrato la cerimonia della messa funebre svoltasi nella basilica romana di Santa Maria degli Angeli, in cui, venerdì 14 gennaio, si è dato l’ultimo saluto ufficiale a David Sassoli, presidente del Parlamento Europeo. Non è stata solo una messa solenne, alla presenza delle massime autorità italiane ed europee, ma un evento corale e polifonico, solenne e familiare, sofferto e gioioso, biografico e storico, evocativo e testimoniale, che offre una preziosa occasione per capire qualcosa di più dell’educazione in famiglia, nei gruppi associativi giovanili, in particolare studenteschi, professionali, politici, e della vita delle istituzioni.

Queste istituzioni, dal livello di quartiere a quello nazionale, europeo e mondiale, non cadono dal cielo e non sono per necessità, come alcuni pensano, espressioni di poteri inutili o incapaci o corrotti. E le chiese non sono solo monumenti da contemplare come opere d’arte, utili a promuovere il turismo; e le prediche non sono solo rituali arcaici che parlano di un Dio che interessa solo ai creduloni o ai fanatici. Se si rivedessero le immagini delle folle silenziose e le parole dette per ricordare e onorare Sassoli in Campidoglio, nelle due Camere del Parlamento, e ciò che si è detto in chiesa a commento del Vangelo sulle Beatitudini, nell’omelia del cardinal Zuppi, vescovo di Bologna, e negli interventi dei familiari, degli amici, dei giovani scout, dei colleghi, si ricaverebbero spunti per ricostruire non solo la biografia di una persona, lo stile di una famiglia e di gruppi in cui sono maturate idee ed esperienze che nascono nel privato e s’intrecciano nel religioso, nel sociale, nel pubblico, nel politico istituzionale, senza confusioni e senza stonature.

Il protagonista silenzioso dell’incontro, insieme religioso e civile, istituzionale e intergenerazionale, è stato proprio David, chiuso in una bara ricoperta dalla bandiera con le dodici stelle. Suo figlio Giulio ha detto che suo padre ha continuato a vivere e a lottare con mitezza, dignità, speranza e amore, parole che ha ripetuto fino alla fine, senza far pesare la sua sofferenza. Lo ha salutato come lui salutava i suoi figli: ciao, papà, mi raccomando, fai giudizio. Giulia gli ha augurato, alla maniera scout, “buona strada”.

Ricordo la risposta che ci diede il card. Martini quando gli chiedemmo, nel 2002, se era giusto insistere perché il documento fondativo dell’UE facesse esplicito riferimento alle radici cristiane. Rispose che era importante che ci si impegnasse a vivere e a concorrere alla costruzione europea da cristiani, in spirito di libertà responsabile e di servizio. È certo importante che ci siano credenti che si facciano sentire e vedere, ma ciò che importa è che siano credibili. Nel Vangelo di Matteo si legge. “Dai loro frutti li riconoscerete”.

Molti non sapevano nulla del percorso educativo culturale e politico di Sassoli, perché lui non utilizzava la sua carica per fare proseliti alla sua appartenenza politica. Non sapevano che a difendere in modo intransigente i principi fondativi dell’UE fu lui, parlando chiaro a quei paesi che dall’Europa vogliono risorse, per costruire muri contro persone immigrate, senza farsi carico dei problemi del mondo. E volle che il Palazzo restasse aperto anche durante la pandemia e che una sua parte fosse aperta per accogliere quelli che dormivano al freddo. Una sua ex collega del TG1 ha detto rivolgendosi a lui: “Hai sfondato i muri con la gentilezza”.

E’ stato lui a dare una dignità e un nuovo ruolo al Parlamento europeo e al ruolo del suo Presidente, inserendolo fra le altre autorità di vertice, Commissione e Consiglio Europeo. Senza la sua capacità di ascoltare, di convincere e di mediare con intese efficaci fra i poteri che gli stati tendono a conservare per sé stessi, procedendo a velocità di comodo, non ci sarebbero stati il Next Generation EU né la mutuazione del debito fra gli stati, in occasione della pandemia. Torniamo alle radici personali di questa forza spirituale.

Sua moglie Alessandra: “Ci siamo cercati e trovati quando eravamo al liceo. È troppo presto, per le tante cose che avevamo ancora da dirci, per il futuro che progettavamo per noi due e i nostri ragazzi. Ce le diremo ancora quelle cose, penseremo ai progetti e immagineremo il futuro. Cammineremo certi della tua presenza, che ci accompagnerà ancora ma in un altro modo, più denso e profondo. Il vuoto prodotto da una perdita può trasformarsi in pieno”.

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