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Creato: Domenica, 19 Dicembre 2021 00:00
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Scritto da Anna Paschero
Lo sciopero generale promosso da CGIL e UIL, un successo nelle piazze, ha posto, al di là delle polemiche e delle strumentalizzazioni tipiche di ogni sistema politico, e dello strappo (si confida momentaneo) con la CISL una nuova attenzione per le condizioni dei lavoratori italiani, sempre più precari e sfruttati, sempre più esposti per assenze di tutele e prevenzioni a infortuni mortali sul lavoro (ieri se ne sono registrati 4, di cui due hanno riguardato persone che lavoravano in nero), ma soprattutto alle prese con un potere d’acquisto in caduta libera.
Ebbene sì, i lavoratori italiani sono oggi mediamente più poveri di 30 anni fa. E nel caso non se ne fossero accorti (ne dubitiamo), a ricordarlo sono i dati statistici e quelli dei rapporti di organismi nazionali e internazionali, ultimo quello elaborato e appena pubblicato dal CENSIS (il 55esimo) sulla situazione sociale del bel Paese.
Italia al 13° posto in Europa per salari medi annuali
Ma non basta, perché gli stessi dati ci raccontano che la perdita del potere d’acquisto dei lavoratori italiani (-2,9%) è unica in Europa nel confronto con tutti gli altri stati membri, in particolare con quelli a noi fisicamente più vicini come la Germania e la Francia, dove la crescita dei salari medi lordi nel trentennio della globalizzazione (1990–2020) è stata rispettivamente del 33,7% e del 31,1%. Mentre all’inizio degli anni ’90 l’Italia era al settimo posto nella classifica degli Stati europei con il salario medio annuale più alto, adesso si posiziona al tredicesimo posto superata anche dalla Spagna.
Intanto ritorna prepotente l’inflazione
Oggi, a fronte di una attesa stangata sulle tariffe di luce, gas, carburanti ed anche generi alimentari, i salari più bassi, che non saranno particolarmente beneficiati dai prossimi sgravi fiscali, verranno erosi da una nuova tassa occulta: quella dell’inflazione. Una contraddizione che appare insopportabile. Quali le cause e gli effetti di questa regressione dell’Italia su scala europea. Intervenendo all’Assemblea di Confindustria il presidente del Consiglio Mario Draghi ha messo sul piatto il progetto di un nuovo patto sociale tra Governo, Confindustria e sindacati. A memoria di chi scrive l’ultimo patto del genere nella storia italiana è stato quello del 1993, che ha sancito la disdetta della scala mobile, meccanismo di adeguamento automatico dei salari all’inflazione. O meglio: i rinnovi contrattuali non sarebbero più stati, da allora, adeguati al tasso di inflazione reale, ma a quello programmato fissato dal Governo nel Documento di Economia e Finanza.
Il pesante impatto dell’Euro sui prezzi al consumo
L’impatto dell’inflazione negli anni dell’Euro1 – il big bang è andato in scena il 1 gennaio 1999 con il debutto dell’Euro come moneta virtuale – ha influito, più che sugli altri 11 paesi inizialmente aderenti all’Euro, proprio sull’Italia. Avvenne per effetto degli aumenti percentuali cumulati dai prezzi dei beni di consumo (44%) rivelatisi maggiori rispetto alle variazioni percentuali cumulate sui redditi nominali disponibili delle famiglie italiane (38,5%). La diminuzione del reddito disponibile reale divenne così pari al 3,8%, l’unico con il potere di acquisto in calo in tutta l’area Euro. Fenomeno che appare del tutto italiano a fronte di un evento comune a tutta l’area europea.
I fattori che hanno pesato sono molteplici a cominciare allo smantellamento dei Comitati Provinciali Euro. Tali organismi, sia pure non abilitati direttamente al controllo dei prezzi nel delicato passaggio dalla lira all’euro, avrebbero potuto intervenire, segnalando eventuali abusi. Evidentemente, a mio avviso, gli abusi non soltanto non furono tempestivamente segnalati, ma contribuirono per effetto transitivo a dare l’assicurazione di impunità assoluta dinanzi all’innalzamento ingiustificato dei prezzi. Altri fattori possono essere rinvenibili durante l’ultimo ventennio, nella bassa produttività e crescita del PIL, nell’abbandono della politica industriale, nella crisi del 2008, nella politica fiscale e, in ultimo, nell’emergenza sanitaria.
Libere osservazioni sul salario minimo
Dallo stesso rapporto del CENSIS, che ci rivela l’esistenza di un mercato del lavoro sempre più sclerotizzato, emerge anche che tra i fattori che impediscono l’inserimento professionale ci sono le retribuzioni disincentivanti che i datori di lavoro – compresa la Pubblica Amministrazione – offrono in cambio di prestazioni lavorative caratterizzate da competenze e capacità adeguate, oggi possedute soprattutto dai giovani. Non deve stupire quindi la fuga di “cervelli” verso altri paesi europei in grado di offrire maggiori opportunità non solo di lavoro, ma anche di retribuzioni più adeguate e anche qui, per effetto transitivo, di maggiore dignità professionale.
Oggi l’Italia si trova tra i 6 Paesi su 27 dell’Unione Europea a non aver adottato un salario minimo universale. Secondo il criterio adottato dall’Unione Europea tale salario dovrebbe essere tra il 50% e il 60% dello stipendio mediano per essere proporzionale al costo della vita (fra 5,60 e 6,70 euro all’ora). In questi giorni la Commissione Lavoro del Senato ha avviato la discussione sulla proposta di legge che dovrebbe dare attuazione alle previsioni dell’art. 36 della Costituzione affinché ogni lavoratore abbia “diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro ed in ogni caso sufficiente ad assicurare a se e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.
Dopo 73 anni si discute ancora sull’applicazione di una norma costituzionale! Si tratta di capire se fissare a 9 euro – come si prospetta al Senato – la paga oraria al di sotto della quale il lavoro diventa sfruttamento può risolvere il problema o se non sono piuttosto la precarizzazione del lavoro, soprattutto giovanile, il lavoro sommerso e deprivato del contratto, il part – time involontario (imposto per riduzione dei costi) oggetto di intervento legislativo per affrontare nella sua complessità il tema dei bassi salari.
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1) L’Euro, valuta comune di diciannove stati membri dell’Unione europea, fu introdotto per la prima volta nel 1999 (come unità di conto virtuale); la sua introduzione sotto forma di denaro contante avvenne per la prima volta nel 2002, in dodici degli allora quindici Stati dell’Unione. Negli anni successivi la valuta è stata progressivamente adottata da altri stati membri, portando all’attuale situazione in cui diciannove dei ventisette stati UE (la cosiddetta Zona euro) riconoscono l’euro come propria valuta legale in: https://it.wikipedia.org/wiki/Storia_dell%27introduzione_dell%27euro
Fonte: https://www.laportadivetro.org/bassi-salari-e-precarieta-bloccano-crescita-e-dignita-del-paese/
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Creato: Giovedì, 21 Ottobre 2021 00:00
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Scritto da Anna Paschero
In una società dove c’è chi non si vaccina perché tanto l’immunità di gregge la garantiscono i vaccinati, dove c’è chi fa di tutto per non pagare le tasse perché tanto i servizi pubblici li usa lo stesso, dove la furbizia trionfa sull’onestà e il consenso politico viene pagato con i soldi dei cittadini onesti, la lezione del prof. Luciano Corradini1, deve far riflettere sul mondo in cui vogliamo vivere e quello in cui vogliamo che vivano i nostri figli e nipoti. Luciano Corradini, insigne studioso, ha ricevuto l’ 11 ottobre 2021 il premio “Donato Menichella”, storico Governatore della Banca d’Italia dal 1946 al 1960. Anna Paschero, che ha partecipato alla premiazione ha tracciato questo ritratto di un personaggio poco noto, ma sicuramente fuori dal comune e di grande coerenza morale.
A 86 anni il professore continua la sua battaglia con la vivacità e lungimiranza di sempre. Non contano gli anni, ma la voglia di cambiare veramente questo Paese, dimostrando che l’indifferenza e le delusioni non devono far venir meno la voglia di combattere per un mondo più giusto. “Alla ricerca di un Tesoro nell’educazione” – il titolo della sua lezione raccontata “a braccio” per necessità di sintesi alla platea presente per la consegna del Premio “Donato Menichella”, alla sua ventesima edizione – parte dal rapporto all’Unesco della Commissione Internazionale sull’Educazione per il XXI secolo di Jacques Delors, europeista, ministro delle finanze della Repubblica francese durante la presidenza Mitterand a metà degli anni Ottanta, presidente della Commissione europea per dieci anni, dal 1985 al 1995. L’Educazione non come ideale cui tendere, ma come mezzo concreto per promuovere una forma più completa e armoniosa dello sviluppo umano; per ridurre povertà, esclusione, ignoranza, oppressione e anche la guerra. Non solo come processo continuo di miglioramento della conoscenza, ma come mezzo straordinario per favorire lo sviluppo personale e per costruire rapporti tra individui, gruppi e nazioni del mondo. L’Educazione per affrontare i “mali” che sono diventati più acuti, nonostante l’avanzare del progresso e della scienza, come l’esclusione sociale e la disoccupazione sempre più crescenti nei paesi ricchi e le disuguaglianze sempre più crescenti in tutto il mondo.
L’Educazione come mezzo per affrontare le minacce che incombono sul pianeta a fronte delle quali, nonostante l’opinione pubblica e la coscienza internazionali, non sono state ancora stanziate risorse né individuati rimedi. L’Educazione come attività permanente da svolgere per tutto l’arco della vita umana per consentire a tutti di sviluppare i propri talenti e la propria coscienza: imparare per tutta la vita rappresenta – come ha sostenuto Delors nel suo rapporto – una delle chiavi d’ingresso nel XXI Secolo. Imparare a vivere insieme, imparare a conoscere, imparare a fare, imparare ad essere, sono i quattro pilastri messi in risalto dalla Commissione Delors e richiamati dal prof. Corradini nel corso della sua lezione. Il Tesoro, con la T maiuscola, rappresenta i talenti che sono nascosti – come un tesoro sepolto in un campo – in ognuno di noi. Questo tesoro deve essere utilizzato per il bene di tutti. Il premio Donato Menichella di cui il Prof. Corradini è stato appena insignito rappresenta un riconoscimento non solo per la sua esperienza professionale, ma soprattutto per l’opera di “volontariato fiscale” da lui concretamente svolta (per ridurre la distanza tra la teoria e la pratica e tra la vita che si pensa e quella che si vive) con il versamento mensile per 15 mesi consecutivi, del 10% della sua retribuzione di docente universitario all’Erario.
Egli, in una lettera inviata all’allora presidente del Consiglio Giuliano Amato, nel settembre del 1992 si definiva “cittadino colpito dalle misure amare della cosiddetta manovra decisa dal Suo Governo, finché perdureranno le attuali difficoltà dell’Italia. Pur avendo stima per la Sua persona e per quella di alcuni suoi ministri, non intendo giurare sulla validità della Sua politica, né farmi prendere da quel tipo di emotività che portava le generazioni delle nostre madri a consegnare la vera alla patria, con l’esito che sappiamo. Sto cercando di imparare il mestiere di cittadino, rischiando ovviamente di sbagliare, in un senso o nell’altro”.
L’improvviso collasso della lira dell’estate del 1992, infatti, e la speculazione internazionale che ne seguì, aveva condotto il nostro Paese sull’orlo della bancarotta. La Banca d’Italia bruciò 30.000 miliardi di lire nella vana speranza di difendere la propria valuta. E pensare che all’inizio degli anni ’60 la lira italiana era stata insignita dalla Giuria del Financial Time Internazionale, dell’Oscar come valuta più stabile al mondo! Che cosa era successo? Un quindicennio di spesa facile per evitare tensioni sociali e l’esplodere del fenomeno di “Tangentopoli” cui i cittadini assistettero sgomenti e con rabbia nei confronti della classe politica dirigente alla quale venivano imputate non solo le ruberie delle tangenti, ma scelte economiche scellerate.
Il debito pubblico salì al 117% del prodotto interno lordo nazionale e indusse il presidente del Consiglio Amato a correre ai ripari con il blocco degli stipendi del pubblico impiego e con un prelievo fiscale straordinario di 11.000 miliardi. Con la manovra di bilancio di 93.000 miliardi di lire venne decretato il blocco delle spese dei Ministeri tra cui quelle del Ministero della Pubblica Istruzione. “Mentre la nave imbarcava acqua e rischiava di affondare (il marco passò da 750 a 900 lire), si levarono le voci di Bossi e Miglio che minacciavano lo sciopero fiscale e il rifiuto di procedere all’acquisto di BOT e dei CCT, gli strumenti con i quali un governo con l’acqua alla gola cercava di far fronte di giorno in giorno al peso degli interessi sul debito”.2
In questo clima morale, politico e giudiziario, il prof. Corradini diede vita nel 1993 all’Associazione per la Riduzione del debito pubblico (ARDeP), nata attraverso una “provocazione” di volontariato fiscale, ma che prosegue tuttora il suo impegno cercando di far riflettere sulle interconnessioni tra fenomeni finanziari, economici e politici e il legame che esiste tra comportamenti individuali, collettivi e scelte istituzionali. L’Educazione resta al centro dell’impegno dell’ARDeP, che si è prodigata attraverso il suo presidente emerito prof. Corradini per la reintroduzione nelle scuole, avvenuta solo di recente, dell’obbligo dell’educazione civica. “Se i cittadini non conoscono le istituzioni del Paese come si può pensare di impartire loro una educazione finanziaria?”. Le reazioni scomposte, non solo di gruppi di cittadini ma anche di esponenti politici, all’introduzione nella riforma fiscale della revisione del catasto dimostra quanto sia urgente una formazione in questo senso.
Se dovesse capitarvi di chiedere improvvisamente ad un amministratore locale o ad un esponente di partito o ad un eletto nel Parlamento nazionale a quanto ammontano le entrate e spese dell’Ente o del bilancio dello Stato, o a quanto ammontano gli interessi che dobbiamo pagare per il servizio del debito e a quanto ammonta quest’ultimo, non stupitevi se non riceverete una risposta. Anzi verrete tacciati di essere dei “ragionieri” e che la politica è ben altra cosa. Ma ne siamo proprio sicuri, quando si è alla guida finanziaria ed economica del Paese e si decide del destino dei suoi cittadini?
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1Il prof. Luciano Corradini, pedagogista, docente universitario, autore di numerose pubblicazioni sull’educazione e sull’insegnamento, per anni vice Presidente del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, è stato sottosegretario all’Istruzione nel governo Dini (1995-1996).
2Da La tunica e il mantello. Debito pubblico e bene comune: provocare per educare, Euroma La Goliardica, 2003