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Creato: Lunedì, 03 Luglio 2023 00:00
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Scritto da Anna Paschero
Messo in ombra da notizie internazionali e nazionali di rilievo, dalla guerra in Ucraina e dai violenti scontri sociali in Francia alla nuova emergenza migranti - sempre la stessa, finché non si andrà all'origine del fenomeno - è passato sotto silenzio o confuso nelle pagine interne dei quotidiani e dell'informazione più in generale, il disegno di legge contenente delega al Governo per la riforma fiscale [1], deliberato dal Consiglio dei Ministri il 16 marzo 2023, che ha concluso il 29 giugno il suo iter in Commissione Finanze. Ora la discussione in aula del testo è prevista per il 10 luglio. L’esame è stato limitato ai primi 13 articoli, lasciando al Senato la modifica dei restanti sette. Per l’approvazione definitiva della legge servirà quindi una terza lettura.
Le modifiche approvate dalla Commissione Finanze (di cui si dirà non appena disponibile il testo emendato) risultano, secondo quanto pubblicato dai media, poco significative rispetto al testo iniziale, ma continua a rimanere assente dal provvedimento la revisione dell’imposta di successione, di cui si prevede, all’art. 10 nel testo inviato alla Commissione, il solo passaggio al sistema di autoliquidazione.
L’imposta di successione italiana è una delle più basse al mondo, prima che il governo Berlusconi nel 2001 la eliminasse del tutto. Non a caso. Venne poi reintrodotta nel 2006 dal governo Prodi, con l’aliquota, tuttora vigente, del 4% e l’esenzione totale del primo milione di euro.
La lezione di Luigi Einaudi
La proposta di Enrico Letta di rendere più pesante, per certi patrimoni, l’imposta ha riaperto nel Paese il dibattito su una sua riforma non venuto meno anche dopo l’arrivo a palazzo Chigi di Mario Draghi nel 2021: "questo non è il momento di prendere soldi ai cittadini, ma di darli". I sostenitori di una revisione dell’imposta, anche sulla scia dell’autorevolezza del pensiero di Luigi Einaudi – figura più importante della scuola politica liberale italiana, cui Berlusconi diceva di ispirarsi - hanno più volte invocato la concezione che egli aveva dell’uguaglianza nei punti di partenza, che ha rappresentato una costante nel corso della sua vita di economista e statista.
In sintesi: l’imposta deve limitare le ricchezze possedute per eredità perché "in una società sana e duratura i giovani debbono poter partire da situazioni non troppo disuguali". Tale obiettivo si realizza dando a tutti la possibilità di studiare senza spese a carico delle famiglie. "A nessuno deve essere vietato, solo perché è povero, di arrivare ai gradi più alti della gerarchia sociale od, in ogni modo, di farsi valere per quel che veramente egli vale. Ma il fine si ottiene altresì decimando le fortune acquisite da tempo, cosicché i nipoti ed i pronipoti di chi formò una fortuna, non possano valersene se non in parte ed alla fine non possano valersene affatto, nella gara per la vita"[2].
La seconda esigenza, secondo il pensiero di Luigi Einaudi, che deve assolvere l’imposta successoria è che deve essere congegnata in modo tale che gli eredi, ad ogni trapasso a causa di morte, siano costretti a trasferire allo Stato una porzione sempre più grande della fortuna ricevuta e quindi ad essere capaci di ricostituire tale onere con il loro lavoro e con il risparmio al fine di preservare il patrimonio ricevuto per eredità.
Francia, Germania e Italia a confronto
C’è una terza esigenza, sottolineata da Luigi Einaudi, più di natura contabile. "In se stessa considerata, l’azione della imposta di successione è deleteria" se lo Stato consuma il suo provento in spese pubbliche correnti perché nulla si crea nel patrimonio pubblico che andrà a sostituire quello privato. "Da una parte prelievo sui patrimoni privati, dall’altra mancata sua ricostituzione sotto forma di patrimonio pubblico. Ciò vuol dire decadenza, diminuzione della produttività delle terre, delle case, dell’industria".
La teoria di Luigi Einaudi non ebbe e continua a non aver fortuna nel Bel Paese: nel 2022, la stessa Corte Costituzionale ha dichiarato l’attuale tassazione conforme alla Costituzione e, in particolare ai diritti della famiglia (art. 129) e alla continuità aziendale con buona pace della dottrina liberaldemocratica.
Quindi l’imposta di successione italiana continua a rappresentare un notevole vantaggio per chi dispone di grandissimi ricchezze, come nel caso più recente, di Silvio Berlusconi che ha lasciato un patrimonio ai propri eredi stimato in oltre 6 miliardi di Euro. Secondo l’attuale regime fiscale lo Stato italiano dovrebbe ricevere circa 240 milioni di Euro (4%). Se Silvio Berlusconi fosse stato un cittadino francese lo stesso patrimonio avrebbe fruttato alle finanze di quel Paese 2,7 miliardi (45%), invece, se fosse invece nato in Germania i suoi eredi ne avrebbero pagati 1,8 miliardi. Criteri e sistemi diversi, concetto di equità decisamente opposto.
Note
[1] AC 1038 e AC 75 (Dossier XIX Legislatura – 19 aprile 2023)
[2] Risorgimento liberale”, 6 marzo 1946. – “L’Opinione, 9 marzo 1946”.
Fonte: https://www.laportadivetro.com/post/l-editoriale-della-domenica-tassa-di-successione-rigorosamente-dalla-parte-dei-ricchi
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Creato: Lunedì, 22 Maggio 2023 00:00
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Scritto da Rocco Artifoni
“Non si possono fare le nozze con i fichi secchi”: si potrebbe riassumere con questa vulgata popolare il progetto del Governo sulla riforma tributaria. O almeno questa è l’impressione che si ricava dall’audizione di Giacomo Ricotti, capo del servizio assistenza e consulenza fiscale della Banca d’Italia, nella Commissione Finanze della Camera il 18 maggio scorso.
Nella parte iniziale della sua relazione sul disegno di legge delega al Governo per la riforma fiscale, presentato dal ministro dell'economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti, Ricotti mette subito le cose in chiaro: “Il principale tra i vincoli di contesto, come più volte ricordato in passato dalla Banca d’Italia, è quello derivante dall’elevato peso del nostro debito pubblico. Esso impone la necessità di conseguire e mantenere nel tempo significativi avanzi primari, per cui a fronte di qualsiasi riduzione nelle entrate pubbliche vanno individuate coperture adeguate, strutturali e credibili.”
Subito dopo il rappresentante della Banca d’Italia si pone il principale problema del sistema tributario italiano, cioè l’evasione fiscale. Ricotti condivide la possibilità di una riduzione delle tasse, ma con una precisa impostazione: “La prima redistribuzione del prelievo è quella che dovrà avvenire attraverso il contrasto all’evasione; questo fenomeno, oltre che inaccettabilmente iniquo, distorce la concorrenza tra imprese e sottrae risorse che potrebbero essere utili anche ad alleggerire il carico tributario dei contribuenti in regola”.
Entrando nel merito della riforma fiscale ipotizzata dal Governo, il dirigente della Banca d’Italia affronta in modo diretto la questione attualissima della cosiddetta “flat tax”, che “rappresenterebbe un unicum tra i sistemi in vigore nelle maggiori economie avanzate: è stato adottato in prevalenza da economie in transizione o in via di sviluppo, con una contenuta pressione fiscale e sistemi di welfare di dimensione limitata”. In altre parole, per il sistema economico dell’Italia la tassa piatta risulterebbe uno strumento inadatto.
In particolare, Giacomo Ricotti sottolinea l’insostenibilità della tassazione proporzionale: “Restano aspetti non del tutto chiariti in tema di tassazione personale. Il modello prefigurato dalla delega come punto di arrivo – un sistema ad aliquota unica insieme a una riduzione del carico fiscale – potrebbe risultare poco realistico per un paese con un ampio sistema di welfare, soprattutto alla luce dei vincoli di finanza pubblica; comunque ne andranno attentamente valutati gli effetti redistributivi.”
Infatti, è evidente il rischio che il sistema tributario diventi più iniquo: “La sfida sarà tradurre in pratica i principi cui si ispira la delega tenendo insieme i vincoli di bilancio pubblico, l’equità orizzontale e verticale. Nelle more dell’introduzione della flat tax, l’estensione dei regimi sostitutivi potrebbe ridurre l’equità del sistema.”
Non c’è soltanto il problema della diminuzione delle entrate per la tassazione dei redditi, ma anche l’insufficiente apporto della principale imposta sui consumi, cioè l’IVA. Ricotti sottolinea: “In tema di evasione e frode dell’IVA, l’Italia, pur con recenti progressi, continua a essere lo Stato UE con il maggior compliance gap in valore assoluto. Su questo piano, il DDL non contempla misure specifiche.”
Ancora sull’IVA il delegato della Banca d’Italia segnala “le distonie tra quadro nazionale e dell’Unione Europea” e soprattutto afferma che “gli interventi contemplati nel DDL appaiono in parte slegati da una logica complessiva di riforma, che assuma un carattere trasversale rispetto ai diversi ambiti dell’imposta suscettibili di revisione e ammodernamento.”
Inoltre, non poteva mancare un riferimento all’aggiornamento delle rendite catastali degli immobili: “Su questo punto il DDL non interviene, mentre sarebbe necessario rivedere e aggiornare tali valori, che tra l’altro influiscono sulla determinazione non solo dell’IRPEF, ma anche di altre imposte (IMU, registro, successioni e ipocatastali).”
In qualche passaggio ci sono anche apprezzamenti sul contenuto della delega fiscale, ma si tratta in genere di interventi di dettaglio: “Molte delle misure appaiono estremamente puntuali, essendo volte anche a risolvere incoerenze sistematiche, modernizzare istituti ormai obsoleti e renderne altri conformi a consolidati orientamenti giurisprudenziali o a principi condivisi in ambito internazionale”.
Nell’audizione in Commissione Finanze il capo servizio della Banca d’Italia ha analizzato in dettaglio alcuni aspetti tecnici dei tributi, ma non ha nascosto i dubbi e le perplessità sulle modifiche che il Governo vorrebbe introdurre nell’attuale sistema fiscale: “da ultimo, ma non meno importante, si richiama la necessità che la delega trovi le opportune coperture. Molti degli interventi prefigurati comporteranno perdite di gettito.”
La valutazione finale di Giacomo Ricotti resta sostanzialmente critica: “Va in conclusione ricordato come, stanti i vincoli di finanza pubblica, l’obiettivo principale dovrebbe essere quello di pervenire a una diversa ripartizione del prelievo complessivo. Sotto il profilo dell’equità ciò significherebbe ridurre il prelievo sui contribuenti in regola recuperando risorse con il contrasto all’evasione.”