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Fisco

Il pizzo e gli ostaggi

Dopo il “pizzo di Stato” evocato da Giorgia Meloni, Matteo Salvini ha detto che “milioni di italiani sono ostaggio da troppi anni dell’Agenzia delle Entrate”.

Sicuramente è contraddittorio che i principali esponenti del Consiglio dei Ministri si scaglino contro la Pubblica Amministrazione. Infatti nella Costituzione questi due organi appartengono allo stesso potere, cioè al Governo (Costituzione, Ordinamento della Repubblica, Titolo III).

È opportuno ricordare che i Ministri devono prestare giuramento (art. 93 Cost.) davanti al Presidente della Repubblica: «Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell'interesse esclusivo della Nazione». “I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione” (art. 98 Cost.). Il potere esecutivo dovrebbe operare con lo stesso scopo e non in contrasto con i propri organismi operativi.

Ancora più grave è il fatto che rappresentanti delle istituzioni mettano in relazione la Pubblica Amministrazione con i reati commessi dalle organizzazioni criminali: gli ostaggi e il pizzo. I rapimenti e le estorsioni si collegano direttamente alla storia delle mafie di questo Paese, per l’accumulo di ingenti capitali da reinvestire e per la garanzia di un flusso di entrate correnti. La struttura dell’economia criminale mafiosa si è fondata proprio su questi due pilastri. È davvero incredibile che allo Stato vengano attribuiti gli stessi termini.

In questo contesto è significativo che Ernesto Maria Ruffini, direttore dell’Agenzia delle Entrate, abbia dovuto precisare e ribadire che “il contrasto all’evasione non è volontà di perseguitare qualcuno”, ma è “un fatto di giustizia nei confronti di tutti coloro che, e sono la stragrande maggioranza, le tasse anno dopo anno le pagano. Il nostro è un lavoro essenziale per il funzionamento di tutta la macchina pubblica perché se vogliamo garantire i diritti fondamentali della persona indicati e tutelati nella nostra Costituzione servono risorse”. Fa impressione che sia un funzionario pubblico a rammentare ai politici il senso e lo scopo delle istituzioni repubblicane.

Le parole di Ernesto Maria Ruffini richiamano quelle pronunciate dal capo dello Stato, Sergio Mattarella, che nel suo discorso di fine anno aveva detto: “la Repubblica è nel senso civico di chi paga le imposte perché questo serve a far funzionare l’Italia e quindi al bene comune”.

Gli ultimi due articoli della prima parte della Costituzione, relativa ai diritti e doveri dei cittadini, stabiliscono che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva” (art, 53) e che “tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi” (art. 54).

Nella Costituzione non sono previste eccezioni, nemmeno per i Ministri. Visto che Meloni e Salvini sono stati nominati dal Presidente della Repubblica sarebbe opportuno che venissero richiamati ai propri doveri, poiché dovrebbero adempiere alle proprie funzioni con “disciplina e onore”. Perché “niente provoca più danno in uno Stato del fatto che i furbi passino per saggi” (Francis Bacon).

 

Tassa di successione: sempre dalla parte dei Paperon de' Paperoni

Messo in ombra da notizie internazionali e nazionali di rilievo, dalla guerra in Ucraina e dai violenti scontri sociali in Francia alla nuova emergenza migranti - sempre la stessa, finché non si andrà all'origine del fenomeno - è passato sotto silenzio o confuso nelle pagine interne dei quotidiani e dell'informazione più in generale, il disegno di legge contenente delega al Governo per la riforma fiscale [1], deliberato dal Consiglio dei Ministri il 16 marzo 2023, che ha concluso il 29 giugno il suo iter in Commissione Finanze. Ora la discussione in aula del testo è prevista per il 10 luglio. L’esame è stato limitato ai primi 13 articoli, lasciando al Senato la modifica dei restanti sette. Per l’approvazione definitiva della legge servirà quindi una terza lettura.

Le modifiche approvate dalla Commissione Finanze (di cui si dirà non appena disponibile il testo emendato) risultano, secondo quanto pubblicato dai media, poco significative rispetto al testo iniziale, ma continua a rimanere assente dal provvedimento la revisione dell’imposta di successione, di cui si prevede, all’art. 10 nel testo inviato alla Commissione, il solo passaggio al sistema di autoliquidazione.

L’imposta di successione italiana è una delle più basse al mondo, prima che il governo Berlusconi nel 2001 la eliminasse del tutto. Non a caso. Venne poi reintrodotta nel 2006 dal governo Prodi, con l’aliquota, tuttora vigente, del 4% e l’esenzione totale del primo milione di euro.

La lezione di Luigi Einaudi

La proposta di Enrico Letta di rendere più pesante, per certi patrimoni, l’imposta ha riaperto nel Paese il dibattito su una sua riforma non venuto meno anche dopo l’arrivo a palazzo Chigi di Mario Draghi nel 2021: "questo non è il momento di prendere soldi ai cittadini, ma di darli". I sostenitori di una revisione dell’imposta, anche sulla scia dell’autorevolezza del pensiero di Luigi Einaudi – figura più importante della scuola politica liberale italiana, cui Berlusconi diceva di ispirarsi - hanno più volte invocato la concezione che egli aveva dell’uguaglianza nei punti di partenza, che ha rappresentato una costante nel corso della sua vita di economista e statista.

In sintesi: l’imposta deve limitare le ricchezze possedute per eredità perché "in una società sana e duratura i giovani debbono poter partire da situazioni non troppo disuguali". Tale obiettivo si realizza dando a tutti la possibilità di studiare senza spese a carico delle famiglie. "A nessuno deve essere vietato, solo perché è povero, di arrivare ai gradi più alti della gerarchia sociale od, in ogni modo, di farsi valere per quel che veramente egli vale. Ma il fine si ottiene altresì decimando le fortune acquisite da tempo, cosicché i nipoti ed i pronipoti di chi formò una fortuna, non possano valersene se non in parte ed alla fine non possano valersene affatto, nella gara per la vita"[2].

La seconda esigenza, secondo il pensiero di Luigi Einaudi, che deve assolvere l’imposta successoria è che deve essere congegnata in modo tale che gli eredi, ad ogni trapasso a causa di morte, siano costretti a trasferire allo Stato una porzione sempre più grande della fortuna ricevuta e quindi ad essere capaci di ricostituire tale onere con il loro lavoro e con il risparmio al fine di preservare il patrimonio ricevuto per eredità.

Francia, Germania e Italia a confronto

C’è una terza esigenza, sottolineata da Luigi Einaudi, più di natura contabile. "In se stessa considerata, l’azione della imposta di successione è deleteria" se lo Stato consuma il suo provento in spese pubbliche correnti perché nulla si crea nel patrimonio pubblico che andrà a sostituire quello privato. "Da una parte prelievo sui patrimoni privati, dall’altra mancata sua ricostituzione sotto forma di patrimonio pubblico. Ciò vuol dire decadenza, diminuzione della produttività delle terre, delle case, dell’industria".

La teoria di Luigi Einaudi non ebbe e continua a non aver fortuna nel Bel Paese: nel 2022, la stessa Corte Costituzionale ha dichiarato l’attuale tassazione conforme alla Costituzione e, in particolare ai diritti della famiglia (art. 129) e alla continuità aziendale con buona pace della dottrina liberaldemocratica.

Quindi l’imposta di successione italiana continua a rappresentare un notevole vantaggio per chi dispone di grandissimi ricchezze, come nel caso più recente, di Silvio Berlusconi che ha lasciato un patrimonio ai propri eredi stimato in oltre 6 miliardi di Euro. Secondo l’attuale regime fiscale lo Stato italiano dovrebbe ricevere circa 240 milioni di Euro (4%). Se Silvio Berlusconi fosse stato un cittadino francese lo stesso patrimonio avrebbe fruttato alle finanze di quel Paese 2,7 miliardi (45%), invece, se fosse invece nato in Germania i suoi eredi ne avrebbero pagati 1,8 miliardi. Criteri e sistemi diversi, concetto di equità decisamente opposto.

Note

[1] AC 1038 e AC 75 (Dossier XIX Legislatura – 19 aprile 2023)
[2] Risorgimento liberale”, 6 marzo 1946. – “L’Opinione, 9 marzo 1946”.

Fonte: https://www.laportadivetro.com/post/l-editoriale-della-domenica-tassa-di-successione-rigorosamente-dalla-parte-dei-ricchi

 

Sulla riforma fiscale la Banca d’Italia bacchetta il Governo

Non si possono fare le nozze con i fichi secchi”: si potrebbe riassumere con questa vulgata popolare il progetto del Governo sulla riforma tributaria. O almeno questa è l’impressione che si ricava dall’audizione di Giacomo Ricotti, capo del servizio assistenza e consulenza fiscale della Banca d’Italia, nella Commissione Finanze della Camera il 18 maggio scorso.

Nella parte iniziale della sua relazione sul disegno di legge delega al Governo per la riforma fiscale, presentato dal ministro dell'economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti, Ricotti mette subito le cose in chiaro: “Il principale tra i vincoli di contesto, come più volte ricordato in passato dalla Banca d’Italia, è quello derivante dall’elevato peso del nostro debito pubblico. Esso impone la necessità di conseguire e mantenere nel tempo significativi avanzi primari, per cui a fronte di qualsiasi riduzione nelle entrate pubbliche vanno individuate coperture adeguate, strutturali e credibili.
Subito dopo il rappresentante della Banca d’Italia si pone il principale problema del sistema tributario italiano, cioè l’evasione fiscale. Ricotti condivide la possibilità di una riduzione delle tasse, ma con una precisa impostazione: “La prima redistribuzione del prelievo è quella che dovrà avvenire attraverso il contrasto all’evasione; questo fenomeno, oltre che inaccettabilmente iniquo, distorce la concorrenza tra imprese e sottrae risorse che potrebbero essere utili anche ad alleggerire il carico tributario dei contribuenti in regola”.

Entrando nel merito della riforma fiscale ipotizzata dal Governo, il dirigente della Banca d’Italia affronta in modo diretto la questione attualissima della cosiddetta “flat tax”, che “rappresenterebbe un unicum tra i sistemi in vigore nelle maggiori economie avanzate: è stato adottato in prevalenza da economie in transizione o in via di sviluppo, con una contenuta pressione fiscale e sistemi di welfare di dimensione limitata”. In altre parole, per il sistema economico dell’Italia la tassa piatta risulterebbe uno strumento inadatto.

In particolare, Giacomo Ricotti sottolinea l’insostenibilità della tassazione proporzionale: “Restano aspetti non del tutto chiariti in tema di tassazione personale. Il modello prefigurato dalla delega come punto di arrivo – un sistema ad aliquota unica insieme a una riduzione del carico fiscale – potrebbe risultare poco realistico per un paese con un ampio sistema di welfare, soprattutto alla luce dei vincoli di finanza pubblica; comunque ne andranno attentamente valutati gli effetti redistributivi.

Infatti, è evidente il rischio che il sistema tributario diventi più iniquo: “La sfida sarà tradurre in pratica i principi cui si ispira la delega tenendo insieme i vincoli di bilancio pubblico, l’equità orizzontale e verticale. Nelle more dell’introduzione della flat tax, l’estensione dei regimi sostitutivi potrebbe ridurre l’equità del sistema.

Non c’è soltanto il problema della diminuzione delle entrate per la tassazione dei redditi, ma anche l’insufficiente apporto della principale imposta sui consumi, cioè l’IVA. Ricotti sottolinea: “In tema di evasione e frode dell’IVA, l’Italia, pur con recenti progressi, continua a essere lo Stato UE con il maggior compliance gap in valore assoluto. Su questo piano, il DDL non contempla misure specifiche.

Ancora sull’IVA il delegato della Banca d’Italia segnala “le distonie tra quadro nazionale e dell’Unione Europea” e soprattutto afferma che “gli interventi contemplati nel DDL appaiono in parte slegati da una logica complessiva di riforma, che assuma un carattere trasversale rispetto ai diversi ambiti dell’imposta suscettibili di revisione e ammodernamento.

Inoltre, non poteva mancare un riferimento all’aggiornamento delle rendite catastali degli immobili: “Su questo punto il DDL non interviene, mentre sarebbe necessario rivedere e aggiornare tali valori, che tra l’altro influiscono sulla determinazione non solo dell’IRPEF, ma anche di altre imposte (IMU, registro, successioni e ipocatastali).

In qualche passaggio ci sono anche apprezzamenti sul contenuto della delega fiscale, ma si tratta in genere di interventi di dettaglio: “Molte delle misure appaiono estremamente puntuali, essendo volte anche a risolvere incoerenze sistematiche, modernizzare istituti ormai obsoleti e renderne altri conformi a consolidati orientamenti giurisprudenziali o a principi condivisi in ambito internazionale”.

Nell’audizione in Commissione Finanze il capo servizio della Banca d’Italia ha analizzato in dettaglio alcuni aspetti tecnici dei tributi, ma non ha nascosto i dubbi e le perplessità sulle modifiche che il Governo vorrebbe introdurre nell’attuale sistema fiscale: “da ultimo, ma non meno importante, si richiama la necessità che la delega trovi le opportune coperture. Molti degli interventi prefigurati comporteranno perdite di gettito.

La valutazione finale di Giacomo Ricotti resta sostanzialmente critica: “Va in conclusione ricordato come, stanti i vincoli di finanza pubblica, l’obiettivo principale dovrebbe essere quello di pervenire a una diversa ripartizione del prelievo complessivo. Sotto il profilo dell’equità ciò significherebbe ridurre il prelievo sui contribuenti in regola recuperando risorse con il contrasto all’evasione.

 

"Economia non osservata" ed evasione fiscale visibile

Nell’ultima relazione sulla "Economia non osservata"[1] e sull’evasione fiscale e contributiva pubblicata dal MEF (allegata alla NADEF 2022) sono evidenziati i dati riferiti al quinquennio 2014/2019 per singola tipologia di imposta relativi al valore, in termini finanziari, dell’evasione fiscale e contributiva, nonché quelli percentuali relativi alla propensione al “gap” [2] dell’imposta per lo stesso periodo.

Dall’esame delle tabelle pubblicate nella relazione si nota una progressiva riduzione, in generale, dell’evasione stimata che, per la prima volta dopo anni, si attesta al di sotto dei 100 miliardi annui (per la precisione 99,2 miliardi nel 2019 contro i 106 miliardi del 2015) . Il dato, di per sé confortante, è la risultanza di alcune strategie adottate nel periodo, di cui si dirà più avanti, che si sono rivelate efficaci. Tuttavia, da una attenta lettura delle tabelle emerge che 83,2 miliardi provengono da mancata dichiarazione/pagamento di imposte e contributi dal lavoro autonomo e impresa. Ovvero quasi l’84% dell’intero “gap”.

Solo per citare alcuni numeri, la propensione ad evadere l’IRPEF è attribuibile per il 68,3% al lavoro autonomo e all’impresa (nel 2015 era il 65,1%); l’IVA, grazie all’effetto dello split payement e della fatturazione elettronica si è ridotta invece dal 26,6% al 20,3% (non è casuale che alcune organizzazioni datoriali stiano chiedendo di abolire tali meccanismi). L’evasione contributiva – a carico del datore di lavoro – nel 2019 risulta di 9,7 miliardi; nel 2015 era l’8,5%.

I dati riferiti al 2019 sono importanti per poter valutare il raggiungimento, o meno, degli obiettivi di riduzione del “tax gap” ai fini del programma Next Generation EU (NGEU). Infatti nell’ambito delle misure correlate alla “Riforma dell’Amministrazione fiscale” è stata inclusa la “riduzione del tax gap” che prevede che la propensione all’evasione, calcolata per tutte le imposte ad esclusione di quelle immobiliari e delle accise, si riduca nel 2024 del 15% rispetto al valore di riferimento del 2019. Dal 18,5% al 15,8%, ovvero meno 2 punti percentuali e in termini monetari meno 12 miliardi di Euro. L’obiettivo è ambizioso perché l’evasione tributaria italiana è molto elevata nel confronto europeo, (l’Italia risultava tra i paesi a più alta evasione IVA dopo Lituania, Malta, Grecia e Romania), ma le strategie adottate negli ultimi anni (fatturazione elettronica, split payment, invio telematico dei corrispettivi) richiedono di proseguire nella stessa direzione con ulteriori sforzi, anche attraverso incentivi mirati per i consumatori per ridurre il fenomeno dell’omessa fatturazione, quali ad esempio la norma che anticipa l’applicazione delle “sanzioni per mancata accettazione di pagamenti effettuati con carte di debito e credito” a decorrere dal 1 gennaio 2023.

Nel contesto sopra richiamato, che richiederebbe una maggiore attenzione e provvedimenti più incisivi nei confronti del fenomeno dell’evasione fiscale, non sono infrequenti esternazioni come quelle pronunciate nel corso dell’odierna assemblea dell’ANCE dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni: “con la delega fiscale vogliamo creare un fisco alleato a chi fa impresa e produce ricchezza, non un fisco nemico e quasi vessatore, questa è la nostra visione”. O, giorni fa, come quelle del ministro Nordio, il "padre putativo" dell'abolizione del reato d'abuso d'ufficio: “anche un imprenditore onesto non può pagare tutte le tasse”.

Gioverebbe che qualcuno ricordasse loro che il cosiddetto “sistema forfettario” utilizzato da circa la metà delle partite IVA (circa 1 milione e 700 mila tra imprenditori e autonomi) consente di pagare una imposta sostituita del 5 % (per i primi cinque anni) e del 15% per il periodo successivo, al posto delle attuali imposte sul reddito comprese le addizionali locali e l ‘IRAP, con notevoli agevolazioni anche di tenuta delle scritture contabili.

L’aliquota IRPEF applicata per il primo scaglione di reddito dei lavoratori dipendenti è attualmente del 23%. I dati ufficiali del Ministero dell’Economia e delle Finanze smentiscono dunque quanto sostenuto dai due esponenti del governo: se ogni forma di evasione è censurabile, i contribuenti che evadono di più in Italia non sono i lavoratori dipendenti che contribuiscono per l’85% alle spese dello Stato e hanno un tax gap del 2,8%, ma quelli che la signora Giorgia Meloni e il signor Carlo Nordio difendono a spada tratta, ritenuti vessati e trattati dal fisco come nemici. E non a caso è significativo che essi stiano cercando di fare marcia indietro proprio su quei pochi strumenti che consentirebbero di stabilire un rapporto migliore e più trasparente con tutti i contribuenti, attraverso un fisco veramente amico ed equo per tutti.

Note
[1] Economia non osservata nei conti nazionali (istat.it)
[2] Il tax gap è un indicatore dell'evasione che si pone l'obiettivo di misurare l'impatto del mancato adempimento degli obblighi di dichiarazione e versamento di imposte e contributi.

Fonte: https://www.laportadivetro.com/post/economia-non-osservata-ed-evasione-fiscale-visibile

 

Diseguaglianze, l’urgenza di risanarle resta attuale

Dopo la caduta del muro di Berlino, illustri economisti italiani come Federico Caffè, Siro Lombardini e Paolo Silos Labini evidenziarono che sul piano economico la caduta del «comunismo» era stata principalmente determinata dalla sua incapacità di creare ricchezza. Ciò aveva di fatto reso impossibile realizzare quei programmi di redistribuzione dei redditi che rappresentavano l’obiettivo primario del regime.

La vittoria del «capitalismo», invece, era dovuta proprio alla sua indubbia capacità potenziale di produrre ricchezza. Quegli stessi economisti, però, tennero a evidenziare la necessità per i Paesi capitalistici d’impegnarsi per la redistribuzione di una parte della ricchezza prodotta, onde evitare squilibri sul piano sociale che avrebbero potuto compromettere la tenuta stessa del sistema. Questo ammonimento, condiviso da altri celebri economisti americani, è rimasto a lungo inosservato anche dopo la grave crisi finanziaria del 2008. Si è riproposto, però, all’attenzione degli operatori economici e dei Capi di Stato dei più importanti Paesi occidentali dopo i gravi squilibri socioeconomici prodotti dalla pandemia di Covid-19.

Al World Economic Forum tenutosi a Davos il 17 gennaio 2022, è stata recapitata una lettera appello di 102 super ricchi, rivolta a tutti i colleghi capitalisti, nella quale, tra l’altro, si diceva: «La maggior parte di noi può dire che, mentre il mondo ha attraversato una quantità immensa di sofferenze negli ultimi due anni, abbiamo effettivamente visto la nostra ricchezza aumentare sensibilmente. Questa ingiustizia, incorporata nelle fondamenta del sistema fiscale internazionale, ha creato una colossale mancanza di fiducia tra la gente del mondo e le élite che sono gli architetti di questo sistema. Per tutto il nostro benessere, ricchi e poveri, è il momento di affrontare la diseguaglianza e scegliere di tassare i ricchi».

L’iniziativa dei 102 super ricchi era stata sollecitata da una denuncia di OXFAM, un movimento di milioni di persone che lottano contro le diseguaglianze, nella quale si evidenziava come dall’inizio dell’emergenza Covid-19 «ogni 26 ore un nuovo miliardario si è unito ad una élite composta da oltre 2'600 super ricchi, le cui fortune sono aumentate di ben 5'000 miliardi di dollari, in termini reali, tra marzo 2020 e novembre 2021». Proprio in collaborazione con OXFAM, gli stessi 102 super ricchi hanno proposto «un’imposta sul patrimonio progressiva, a partire dal 2% per chi ha più di 5 milioni di dollari fino a salire al 5% per i miliardari». Con questa proposta si proponevano di «raccogliere oltre 2'500 miliardi a livello globale per portare 2,3 milioni di persone fuori dalla povertà e garantire assistenza sanitaria e protezione sociale a tutti quelli che vivono nei Paesi a basso reddito». L’iniziativa non ha avuto riscontri significativi, visto che solo l’Argentina e la Colombia hanno attuato incrementi d’imposte per i più ricchi. Tuttavia, nel febbraio scorso Joe Biden, presidente del principale Stato capitalista del mondo, nel Discorso sullo Stato dell’Unione ha annunciato «una tassa minima del 20% sui super ricchi, la quadruplicazione della tassa sul riacquisto delle azioni societarie e un incisivo intervento sugli extraprofitti di Big Oil e Big Pharma». In particolare, ha promesso che «nessuno che guadagna meno di 400mila dollari all’anno vedrà aumentare le tasse, nemmeno di un centesimo, ma che saranno chiuse tutte le strade che consentono ai molti ricchi di non pagare le tasse».

Le sue parole hanno creato scompiglio tra le fila dei repubblicani che si impegneranno certamente a rendergli la vita difficile. Appare emblematico che nel nostro Paese, che vanta un’evasione annua di oltre 100 miliardi di euro, le iniziative fiscali di Biden non siano state prese in considerazione dal governo. La legge delega recentemente varata si propone di ridurre le imposte introducendo novità in materia di IRPEF, IRES, IVA, IRAP e Statuto del contribuente. Non indica, però, quali saranno le coperture e, per alcuni aspetti, non appare ancorata ai principi di «progressività» previsti dalla Costituzione. È riprovevole, peraltro, che gli appelli di Davos e i programmi di Biden non siano stati presi in considerazione dalle forze di opposizione e non abbiano avuto sufficiente risalto da parte dei mezzi d’informazione.

Fonte: https://www.ecodibergamo.it/stories/premium/Editoriale/diseguaglianze-lurgenza-di-risanarle-resta-attuale_1458663_11/

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