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Debito

Accusata di ingenuità, di buonismo, quando non di complicità con uno stato ladro, l'ARDeP, alla battuta di un personaggio di Ignazio Silone: "Sono soldi del Governo, chi non ruba va all'inferno", rispondeva con quella di Molière: "Se i furfanti sapessero quanto si guadagna ad essere onesti, sarebbero onesti per furfanteria". Scrivemmo su Repubblica una lettera al "Miliardario ignoto, perché si converta", ma non ottenemmo risposte. Consideriamo invece le nostre donazioni alla stregua di simboli non irrilevanti dedicati al Milite ignoto, come le corone del 2 giugno sull'altare della Patria. Prima di affrontare il problema posto dal secondo corno del dilemma del nostro tema, cioè quello dell'eventuale abbandono dell'Italia indebitata, restiamo ancora un poco sul terreno dell'esperienza fatta dalla nostra Associazione.
Incoraggiati da una serie di riconoscimenti e incoraggiamenti, tra cui quelli di Oscar Luigi Scalfaro, di Lamberto Dini, di Carlo Azeglio Ciampi, dall'adesione di cinque consigli comunali, e dall'interesse di parte della stampa e di alcuni giovani e anziani, che scrissero serie e anche commoventi lettere di adesione all'ARDeP, tenemmo l'assemblea di fondazione in Campidoglio il 15 .12.1995, per precisare i seguenti obiettivi statutari: mettere a fuoco la genesi, la natura, la dinamica del debito e denunciare la gravità dei suoi effetti; impegnarsi a far interagire fra loro, sul problema del debito, informazione, coscientizzazione, elaborazione di proposte e promozione di iniziative comparabili a quello che si faceva per altri "mali comuni" più visibili, come la droga, l'inquinamento, il degrado ecologico, la delinquenza organizzata. Ci impegnammo in particolare per l'aggancio dell'Italia all'euro, che ci parve un salvagente nel mare in tempesta.
Raggiunto un po' rocambolescamente questo risultato, qualcuno degli allora trecento aderenti all'ARDeP pensò che potevamo chiudere l'associazione, dichiarando che la missione era di fatto compiuta. Noi però pensammo che da un lato la cattiva gestione del processo di cambiamento valutario, dall'altro il clima euforico del "liberi tutti", con la discesa dei tassi d'interesse, avrebbero costituito un pericolo forse ancora più grande per i conti pubblici. Quando il Governo Prodi ci restituì la cosiddetta "tassa per l'Europa", qualcuno di noi, pur apprezzando il gesto, la rispedì al Tesoro, per segnalare che ci pareva pericoloso allentare il rigore. A distanza di ventidue anni, come giudicare il nostro “buon esempio”?

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