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Ho chiesto a mia figlia Laura se aveva registrato la cerimonia della messa funebre svoltasi nella basilica romana di Santa Maria degli Angeli, in cui, venerdì 14 gennaio, si è dato l’ultimo saluto ufficiale a David Sassoli, presidente del Parlamento Europeo. Non è stata solo una messa solenne, alla presenza delle massime autorità italiane ed europee, ma un evento corale e polifonico, solenne e familiare, sofferto e gioioso, biografico e storico, evocativo e testimoniale, che offre una preziosa occasione per capire qualcosa di più dell’educazione in famiglia, nei gruppi associativi giovanili, in particolare studenteschi, professionali, politici, e della vita delle istituzioni.

Queste istituzioni, dal livello di quartiere a quello nazionale, europeo e mondiale, non cadono dal cielo e non sono per necessità, come alcuni pensano, espressioni di poteri inutili o incapaci o corrotti. E le chiese non sono solo monumenti da contemplare come opere d’arte, utili a promuovere il turismo; e le prediche non sono solo rituali arcaici che parlano di un Dio che interessa solo ai creduloni o ai fanatici. Se si rivedessero le immagini delle folle silenziose e le parole dette per ricordare e onorare Sassoli in Campidoglio, nelle due Camere del Parlamento, e ciò che si è detto in chiesa a commento del Vangelo sulle Beatitudini, nell’omelia del cardinal Zuppi, vescovo di Bologna, e negli interventi dei familiari, degli amici, dei giovani scout, dei colleghi, si ricaverebbero spunti per ricostruire non solo la biografia di una persona, lo stile di una famiglia e di gruppi in cui sono maturate idee ed esperienze che nascono nel privato e s’intrecciano nel religioso, nel sociale, nel pubblico, nel politico istituzionale, senza confusioni e senza stonature.

Il protagonista silenzioso dell’incontro, insieme religioso e civile, istituzionale e intergenerazionale, è stato proprio David, chiuso in una bara ricoperta dalla bandiera con le dodici stelle. Suo figlio Giulio ha detto che suo padre ha continuato a vivere e a lottare con mitezza, dignità, speranza e amore, parole che ha ripetuto fino alla fine, senza far pesare la sua sofferenza. Lo ha salutato come lui salutava i suoi figli: ciao, papà, mi raccomando, fai giudizio. Giulia gli ha augurato, alla maniera scout, “buona strada”.

Ricordo la risposta che ci diede il card. Martini quando gli chiedemmo, nel 2002, se era giusto insistere perché il documento fondativo dell’UE facesse esplicito riferimento alle radici cristiane. Rispose che era importante che ci si impegnasse a vivere e a concorrere alla costruzione europea da cristiani, in spirito di libertà responsabile e di servizio. È certo importante che ci siano credenti che si facciano sentire e vedere, ma ciò che importa è che siano credibili. Nel Vangelo di Matteo si legge. “Dai loro frutti li riconoscerete”.

Molti non sapevano nulla del percorso educativo culturale e politico di Sassoli, perché lui non utilizzava la sua carica per fare proseliti alla sua appartenenza politica. Non sapevano che a difendere in modo intransigente i principi fondativi dell’UE fu lui, parlando chiaro a quei paesi che dall’Europa vogliono risorse, per costruire muri contro persone immigrate, senza farsi carico dei problemi del mondo. E volle che il Palazzo restasse aperto anche durante la pandemia e che una sua parte fosse aperta per accogliere quelli che dormivano al freddo. Una sua ex collega del TG1 ha detto rivolgendosi a lui: “Hai sfondato i muri con la gentilezza”.

E’ stato lui a dare una dignità e un nuovo ruolo al Parlamento europeo e al ruolo del suo Presidente, inserendolo fra le altre autorità di vertice, Commissione e Consiglio Europeo. Senza la sua capacità di ascoltare, di convincere e di mediare con intese efficaci fra i poteri che gli stati tendono a conservare per sé stessi, procedendo a velocità di comodo, non ci sarebbero stati il Next Generation EU né la mutuazione del debito fra gli stati, in occasione della pandemia. Torniamo alle radici personali di questa forza spirituale.

Sua moglie Alessandra: “Ci siamo cercati e trovati quando eravamo al liceo. È troppo presto, per le tante cose che avevamo ancora da dirci, per il futuro che progettavamo per noi due e i nostri ragazzi. Ce le diremo ancora quelle cose, penseremo ai progetti e immagineremo il futuro. Cammineremo certi della tua presenza, che ci accompagnerà ancora ma in un altro modo, più denso e profondo. Il vuoto prodotto da una perdita può trasformarsi in pieno”.

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