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(Avvenire, 22 8 012, p.)
Il presidente Monti ha detto che, relativamente al fenomeno dell’evasione fiscale, l’Italia si trova “in uno stato di guerra”. Non si potrà certo dire che questo sia un linguaggio ambiguo.

Se serve a togliere qualunque legittimità alla prassi dell’evasione, e perfino al termine ammiccante di furbo riservato dai media a chi evade, se serve a incoraggiare i responsabili delle finanza pubblica a utilizzare al massimo il supercomputer SERPICO per scovare gli evasori, la parola guerra è ben venuta.
Non è però esente da rischi, perché la materia è intricata, lo Stato non è solo vittima dei cittadini disonesti e la strategia dei rapporti fra Stato e cittadini, e in particolare fra Stato e contribuenti, di tutto si giova meno che di un clima di scontro senza quartiere.

Durante l’ultima guerra, minacciosi manifesti intimavano “Taci, il nemico ti ascolta”. Contro un nemico che vuole distruggerci, tutto è permesso: tutto, meno che cercare di capirsi, di ragionare, di collaborare. In Grecia la folla (la notizia è di ieri) ha assalito i finanzieri che avevano arrestato un ristoratore evasore. Bisogna togliere l’idea che lo Stato sia nemico del cittadino, che l’onestà sia stupidità o rassegnata impotenza. E’ vero che lo Stato non si comporta sempre bene, anche perché ora è “costretto” a chiedere più del giusto.
La guerra fra Stato e contribuenti, anche dopo la Costituzione repubblicana (art. 53: “Tutti i cittadini sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”) è frutto di successive distorsioni normative, amministrative, comportamentali, che hanno generato grossi equivoci: Stato e cittadini si sono mancati di rispetto e si sono danneggiati a vicenda. Mi permetto di ricordare che l’ARDeP nella sua ventennale battaglia contro il debito pubblico e i suoi responsabili, cercò di superare l’equivoco della inevitabilità di questa guerra. Avvenire ha dato spesso spazio alle sue iniziative e proposte.
 Il 7.12.1996 l’ARDeP ottenne la pubblicazione su Repubblica di una lettera indirizzata “Ai mliardari evasori, perché si pentano”. Scrivevamo: “Ci sono i pentiti del terrorismo e quelli della malavita organizzata. Lei potrebbe essere uno dei primi pentiti della maxievasione, un crimine altrettanto grave e socialmente pericoloso. Non dica che è roba da Libro Cuore. Quello ci aiutò a fare gli italiani, Lei finora ci ha aiutato a disfarli e a renderli impresentabili in Europa. Ci faccia sapere. Vogliamo fare festa insieme”.
Eravamo semplici cittadini associati. Diversa è l’autorevolezza di un Governo che finalmente assuma il piglio necessario a “vincere la battaglia dell’evasione” senza lasciare sul campo morti e feriti. C’è bisogno perciò di una legislazione fiscale più semplice, equa e trasparente, che s’ispiri effettivamente ai principi costituzionali. Non so quanta strada si potrà fare in questa direzione nei prossimi mesi. L’importante è che i nuovi governi non regrediscano nei confronti delle posizioni assunte in proposito dal Governo Monti.
Luciano Corradini, presidente onorario dell’ARDeP, associazione per la riduzione del debito pubblico. (www.lucianocorradini.it)

 

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