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La principale argomentazione utilizzata per “giustificare” l’evasione fiscale è l’eccessivo livello della pressione fiscale: le tasse sono troppo elevate e quindi è necessario evitare di pagarne almeno una parte. Chi propone questo ragionamento, tralascia di considerare l’ovvia conseguenza: se alcuni pagano meno imposte del dovuto, gli altri contribuenti sono costretti a pagare più tasse del necessario per coprire l’ammanco causato dai contribuenti meno onesti. Lo sanno bene, ad esempio, gli abitanti di un palazzo che si ritrovano a dover pagare le spese condominiali anche per la parte non coperta da alcuni inquilini per poter continuare ad usufruire di alcuni servizi, come l’acqua fornita a tuti gli appartamenti del condominio.

Tralasciando questo aspetto di evidente ingiustizia, per cui alcuni sono costretti a pagare anche per altri, in realtà la correlazione diretta tra pressione ed evasione fiscale non trova riscontro nei dati disponibili nel confronto tra le varie nazioni. A dicembre 2018 è stato pubblicato l’ultimo report dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) sulla pressione fiscale nei 36 Paesi membri relativa all’anno 2017. In testa alla graduatoria troviamo la Francia con la pressione fiscale più alta, corrispondente al 46,2% del Prodotto interno lordo (PIL). Seguono la Danimarca (46%), il Belgio (44,6%), la Svezia (44%) e la Finlandia (43,3%). Al sesto posto si colloca l’Italia con il 42,4%, seguita dall’Austria (41,8%). Dalla parte opposta della classifica troviamo: il Messico (16,2%), il Cile (20,2%), l’Irlanda (22,8%), la Turchia(24,9%), la Corea del Sud (26,9%) e gli USA (27,1%).

Se confrontiamo le percentuali sulla pressione fiscale con quelli sull’economia sommersa relativi al 2015, forniti dal Fondo monetario internazionale (FMI), possiamo verificare che non è possibile tracciare una correlazione diretta tra i due dati. Infatti ci sono Paesi con alta pressione e bassa evasione fiscale e al contrario Stati con bassa pressione e alta evasione fiscale. La Francia ha un’economia sommersa pari all’11,65% del PIL, la Danimarca ha il 14,7%, il Belgio il 17,8%, la Svezia l’11,74%, la Finlandia il 13,3% e l’Austria il 9,01%. Tutti i Paesi con tasse alte hanno un’economia irregolare relativamente contenuta, ad eccezione dell’Italia che ha un sommerso pari al 22,97% del PIL.

Rovesciando la classifica, l’economia nascosta del Messico corrisponde al 28,07% del PIL, benché la pressione fiscale sia minima. Discorso analogo si potrebbe fare per la Turchia con il 27,43% di attività irregolare. Un po’ meno consistente il dato della Corea con il 19,83%. Da questi dati sembrerebbe quasi rovesciata l’ipotetica equazione inziale, poiché nei Paesi con alta pressione fiscale si verifica una scarsa economia sommersa, mentre quest’ultima è elevata proprio laddove la tassazione è meno pesante. In realtà, anche questa correlazione risulta errata. Lo dimostrano i dati del Cile (13,16%), dell’Irlanda (9,58%) e soprattutto degli Stati Uniti, che hanno un’economia sommersa pari solamente al 7% del PIL.

Da questi confronti emerge con chiarezza la complessità del problema che ha molti aspetti e alcune variabili: la qualità dei servizi forniti ai cittadini nei vari Paesi grazie alle risorse raccolte con le imposte (per esempio negli USA ci sono poche tasse ma anche meno welfare), il grado di fedeltà alla cassa comune rappresentata dal fisco (sicuramente più elevata in Austria che il Italia), il livello di sanzioni penali per chi evade (negli USA si finisce in carcere, in Italia no), ecc. Insomma, le semplificazioni servono a poco, se si vuole capire e soprattutto migliorare la percentuale di partecipazione di tutti i cittadini al finanziamento della spesa pubblica.

In quest’ottica anche il dato sulla pressione fiscale va relativizzato, poiché è determinante sapere chi in effetti paga e non soltanto quanto si contribuisce in media: per esempio se a sostenere la spesa della comunità è la classe media o soprattutto i più ricchi, se viene tassato di più il reddito o il patrimonio, se le risorse vengo prelevate dai consumi o dalle rendite. Tutti i dati disponibili dimostrano che in Italia i più ricchi negli ultimi decenni hanno pagato sempre meno imposte, che le rendite sono tassate più dei redditi da lavoro e che il patrimonio è quasi esente da tassazione persino durante le successioni. Il che spiega probabilmente perché nel nostro Paese la disuguaglianza e la povertà sono in aumento. Ne consegue che servirebbe una seria riforma fiscale secondo i principi costituzionali di solidarietà e giustizia. Peccato che il Governo abbia lo sguardo rivolto dalla parte opposta, che è ben rappresentata dalla cosiddetta flat tax.

L’insostenibile leggerezza dell’Italia in Europa

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