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Quali sono le condizioni dell’economia italiana che il governo giallo-verde lascia in eredità al governo giallo-rosso?

Sul piano della crescita quest’anno siamo a zero. Se aumentasse l’IVA, avremmo crescita zero anche nel 2020. Se non aumenta l’Iva la crescita nel 2020 potrebbe passare da zero allo 0,4 per cento. Quindi non basta “solo” sterilizzare l’IVA.

Sul fronte della finanza pubblica il ministro Giovanni Tria ha di recente dichiarato che «i conti sono in ordine».

Ma su quali dati si basa il giudizio del ministro?

Prendiamo i dati di finanza pubblica “scritti” nell’ultimo Def dell’aprile scorso. Lì c’è scritto che il deficit pubblico sarebbe stato quest’anno al 2,4% (2% nel 2020 e 1,8% nel 2021). Poi c’è stata la manovra correttiva di luglio per un totale di 7,6 miliardi di euro che dovrebbe riportare il deficit 2019 dal 2,4% a circa il 2 per cento. Metà dei 7,6 miliardi però sono misure una tantum con effetti solo nel 2019. Per questo il deficit del 2020 si riduce meno, dal 2% all’1,8 per cento. Conseguenza di tutto questo è che il rapporto debito/Pil dovrebbe rimanere fermo a circa il 133 per cento.

Questi sono i numeri che quasi certamente sono stati presi a base dal ministro per la sua rassicurante affermazione.

Pur comprendendone le ragioni, ci sono però due ragionamenti da fare: uno sui numeri e uno sul merito.

Sui numeri. Questi dati di finanza pubblica derivano dal Quadro macroeconomico presentato nello stesso DEF dove la crescita del PIL è indicata allo 0,2% quest’anno e allo 0,8% nel 2020 e nel 2021. Ora, il punto di partenza del 2019 è a zero crescita, se tutto va bene. Per il 2020 delle due l’una: o aumenta l’IVA (come nel quadro di finanza pubblica presentato nel DEF) e allora la crescita resterebbe a zero e non potrebbe portarsi allo 0,8% indicato dal governo; oppure non si fa l’aumento dell’IVA e allora il deficit sarebbe almeno al 2,5% e il rapporto debito/PIL aumenterebbe.

Nel merito. Dire che i conti pubblici sono in ordine limitandosi al deficit e al debito non significa raccontare l’intera “storia” della finanza pubblica.

Il deficit infatti è il saldo tra spese ed entrate, cioè la differenza tra due “addendi”.

Per valutare l’effetto del bilancio pubblico sul sistema economico occorre invece riferirsi al “totale” e alla “composizione” della spesa pubblica e delle tasse.

Faccio un esempio concreto.

Nel DEF si indica un deficit 2020 pari a 36 miliardi di euro (45 miliardi secondo i nostri conti). Comunque, quei 36 miliardi di deficit sono la differenza tra 895 miliardi di spesa totale (49% del Pil) e 859 miliardi di entrate totali (47% del PIL). È evidente che ciò che conta di più è come questi totali di spesa ed entrate impattano sull’economia, ben al di là degli effetti del deficit.

Inoltre, nel totale delle spese ci sono “soltanto” 43 miliardi per investimenti pubblici, cioè il 2% del PIL. Gli altri 852 miliardi sono dovuti a spesa corrente e fondi perduti in conto capitale, cioè il 47% del PIL.

Nel totale degli 859 miliardi di entrate, 780 miliardi sono tasse e contributi pagati dalle famiglie, dai lavorati, dai pensionati e dalle imprese, cioè il 43% del PIL. “Soltanto” 79 miliardi sono tasse pagate da altri soggetti, cioè il 4,3% del PIL. Per di più “mancano” circa 100 miliardi di evasione fiscale.

Da qui si vede che il nostro bilancio pubblico è profondamente “squilibrato”: pochissimi investimenti e tanta spesa corrente, tante tasse sui tartassati e poche su altri soggetti. Zero sugli evasori.

Ecco allora che, se si guarda al solo deficit, si può anche affermare che i nostri conti pubblici sono “più o meno in ordine”. Se però si guarda al “totale” e alla “composizione” delle spese e delle entrate, si vede che i nostri conti pubblici sono da decenni in grande “disordine”.

Proporre una manovra “espansiva” aumentando deficit e debito, oltre a essere autodistruttiva in pochi mesi per la reazione dei mercati finanziari, sarebbe in realtà una operazione che perpetua e maschera anche per gli anni futuri quel “disordine” dei conti pubblici.

Il paradosso è che, con questa struttura, il bilancio pubblico determina un effetto “restrittivo” sulla crescita che resta tale anche con un po’ di deficit in più e magari anche con la condiscendente flessibilità eventualmente concessa dalla nuova commissione europea. Per avere un bilancio “espansivo” con i conti in ordine occorre “muovere” almeno il 10% della spesa e delle entrate, cioè una manovra attorno al 5% del Pil. Non serve aumentare di qualche decimale il deficit.

Il vero “cuore” della politica infatti non sta nel firmare ulteriori cambiali a babbo morto ma nell’incidere sul totale di spesa ed entrate e nello “spostare” le risorse, senza un euro in più di deficit e di debito.

“Questa eredità di bilancio in disordine” è passata “intonsa” negli ultimi venti anni da un governo all’altro, anzi si e aggravata. Infatti, tutti i governi (giallo-verde incluso) hanno aumentato la spesa corrente, aumentato le tasse ai tartassati e tagliato gli investimenti.

Questo sarebbe il vero cambiamento, la vera discontinuità da scrivere nella prossima legge di bilancio per il 2020 ... aspettando Godot o Rousseau?

Mario Baldassarri, presidente del centro studi Economia reale

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