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A volte viene da pensare che la razionalità non appartenga alla politica. Capita ad esempio nel caso della recente proposta di alcuni parlamentari di togliere l’IMU sulle seconde case e di introdurre un’imposta patrimoniale per chi detiene una ricchezza superiore ai 500 mila euro. In altre parole, si propone di abolire una tassa patrimoniale e di metterne un’altra. 

La ratio è che i possessori di una seconda casa potrebbero anche non essere ricchi, mentre chi ha più di 500 mila euro di patrimonio sicuramente non è povero. In effetti il ragionamento è logico. Pertanto, se questa proposta venisse approvata, ne avrebbe un vantaggio una parte del ceto medio, mentre a perderci sarebbero i più ricchi.

Tuttavia ci si potrebbe chiedere se sia equo - oltre che eticamente corretto - tassare i patrimoni a prescindere dalla loro provenienza. Un’imposta patrimoniale dovrebbe tener conto della congruità del patrimonio con la media dei redditi dichiarati dal proprietario/detentore, calcolata su un arco di tempo sufficientemente lungo. In questo modo il peso della patrimoniale ricadrebbe principalmente sui patrimoni incongrui, cioè quelli degli evasori fiscali.

Ma di che cifre stiamo parlando? Per chi ha un patrimonio di 500 mila euro si tratterebbe di una nuova imposta di 1.000 euro (lo 0,2%), che potrebbe diminuire sensibilmente nel caso del possesso di una seconda casa. Insomma, questo contribuente potrebbe perderci circa 500 euro, cioè l’1 x mille del suo patrimonio. Non sarebbe contento, ma certo non andrebbe in fallimento per questo. 

Eppure, questa proposta ha incontrato la netta e persino feroce contrarietà di quasi tutti i parlamentari, di maggioranza e di opposizione. C’è chi addirittura ha gridato alla “rapina di Stato”. Ci si dimentica che l’art. 2 della Costituzione di questo Stato stabilisce che tra i doveri inderogabili c’è la solidarietà economica. Non è il momento - si obietta - perché siamo in una situazione di crisi. Appunto: è quando si è in crisi che chi ha di più, dovrebbe fare uno sforzo in più. I più facoltosi potrebbero dare un contributo utile per compensare l’aumento delle spese sociali e sanitarie, causato dalla pandemia, a favore delle casse dello Stato di cui fanno parte. 

Si tratta di un ragionamento elementare e ragionevole, ma che non trova spazio nell’attuale confronto politico. Prevalgono palesemente la propaganda e la demagogia. È a tutti noto che il debito pubblico italiano è in forte crescita, mentre la ricchezza privata corrisponde al quadruplo del debito dello Stato. Che cosa c’è di male, se in questa situazione i più benestanti danno una mano agli altri cittadini che si trovano più in difficoltà?

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