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L’evasione fiscale rappresenta per l’Italia una questione centrale nella relazione tra finanza pubblica e sistema economico, non solo per un’evidente tensione etica verso l’equità, ma anche per i riflessi sull’efficienza del sistema Paese.

Tollerare l’evasione si traduce in un sussidio implicito ai settori meno efficienti dell’economia e rende necessario un aggravio della pressione fiscale, indispensabile per raccogliere il volume di risorse necessarie allo svolgimento dei vari servizi di pubblica utilità. Ne deriva una perdita di competitività per i settori più efficienti. Varie stime valutano l’evasione fiscale in 100 miliardi annui e l’economia sommersa superiore al 20% del Pil. Se a ciò si aggiunge l’economia criminale, si stima che più di un quarto del nostro Pil risulti ignoto al fisco. Ciò riduce le entrate necessarie a garantire un efficace funzionamento della macchina statale. Inoltre, compromette la possibilità di realizzare un efficiente sistema di Welfare e, per di più, distorce la distribuzione del carico fiscale e dei benefici ricevuti, a sfavore di chi sceglie di non evadere.

È mancato fino ad oggi un impegno politico serio e determinato per combattere questo fenomeno anche perché, se si dà credito a buona parte dei media e a molti esponenti politici, l’evasione fiscale viene percepita come una forma di difesa del cittadino nei confronti dello Stato. Ne consegue che la necessità di portare avanti una seria lotta all’evasione venga considerata dai più come la minaccia di uno Stato autoritario, piuttosto che una battaglia di giustizia sociale. Siamo abituati a sentire politici anche di primo piano che, specie nelle ricorrenti consultazioni elettorali, si fanno vanto del fatto che il loro partito non abbia messo mai e non metterà mai «le mani in tasca degli italiani», paragonando un atto legittimo dello Stato all’azione di un «ladro». Da parte loro, molti evasori fiscali giustificano la loro scelta attribuendola alla presenza di «aliquote fiscali» troppo elevate, guardandosi però bene dal riconoscere che questa situazione è proprio la conseguenza del loro comportamento irresponsabile. Le aliquote, infatti, potrebbero essere sensibilmente contenute proprio se a pagare le tasse fossero tutti e non solo quelli che scelgono di non evaderle per senso civico o perché non hanno la possibilità di farlo in quanto impiegati, operai o pensionati.

Al di là di ogni più o meno giustificata, molte volte lo è, retorica vittimistica, l’evasione fiscale in Italia è in gran parte alimentate da un fenomeno culturale che si caratterizza per un limitato senso dello Stato e per una assai poco diffusa «moralità fiscale». Questa condizione, peraltro, rende assai complessa e limitata l’azione di contrasto all’evasione condotta dalle istituzioni a ciò preposte quali l’Agenzia delle entrate e la Guardia di finanza. Occorre dunque un urgente cambiamento radicale nel rapporto fisco-cittadino. A cominciare dall’introduzione nell’ordinamento formativo delle scuole medie di una materia autonoma, avente pari dignità rispetto agli altri insegnamenti, che formi i cittadini di domani sui valori costituzionali fondanti della convivenza civile, di cui la legalità fiscale rappresenta una delle maggiori espressioni. È molto importante che sin dalla giovane età si radichi la consapevolezza che pagare le tasse è uno dei doveri fondamentali di un cittadino; non pagare le tasse è uno dei peggiori reati che un cittadino possa commettere, perché danneggia tutta la collettività; pagando le tasse si aiutano i più poveri. Una preziosa occasione per procedere con fermezza in questa direzione è data oggi dal Pnrr, che tra le riforme da realizzare per usufruire di ingenti somme pone in primo piano proprio quella dell’amministrazione fiscale.

Fonte: https://www.ecodibergamo.it/stories/premium/Editoriale/la-legalita-fiscale-va-insegnata-a-scuola_1447385_11/

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