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Nel 2012, l’instabilità finanziaria che aveva portato gli spread sul debito italiano oltre i 500 punti base è stata scongiurata dalle innovazioni profonde della governance europea. Queste hanno imposto una politica di austerity che è stata attuata dal governo Monti soprattutto dal lato delle entrate. Queste misure hanno contrastato le determinanti dell’ampliamento dello spread sul rendimento dei titoli del debito pubblico italiano rispetto a quello tedesco. Nel 2012 il Paese ha rimodulato in modo significativo la sua politica economica al fine di migliorare la sua stabilità finanziaria. Questo obiettivo è stato raggiunto e deve essere difeso, anche se dovevano essere finalmente introdotte misure mirate alla ripresa dell’attività economica. Infatti, è preferibile abbassare il tenore di vita, risparmiare, investire, produrre, esportare lasciando che il benessere si attenui in modo equilibrato e programmato nel tempo, piuttosto che trovarsi davanti a un’improvvisa minaccia di default e alla conseguente soggezione alle misure imposte dalla Troika (UE, BCE, FMI). In altre parole, è preferibile pagare 2-3 punti percentuali di Pil per qualche anno al fine di ridurre il debito, finché i tassi d’interesse rimangono bassi o negativi, piuttosto che pagare altrettanto senza ridurre il debito nel caso in cui tassi d’interesse tornassero a crescere. Questa eventualità non è tanto remota dopo l’annuncio del tapering statunitense che dal giugno del 2014 ha cessato il QE. Ovviamente, un atteggiamento più responsabile avrebbe voluto che questa politica di rientro del debito in Italia fosse stata attuata negli anni precedenti la crisi.
La politica economica italiana che ha ispirato la manovra economica e fiscale del 2012-2015 ha costituito il vero punto di svolta di un processo storico che risale indietro nel tempo. Si può discutere se questa politica di rigore dovesse essere accompagnata da un’equità diversa, ma la manovra ha assolto il compito di contribuire a stabilizzare i rendimenti dei titoli pubblici sui mercati finanziari, vincolo ineludibile per chi ha bisogno di prendere a prestito, come gli esempi della Grecia, del Portogallo, della Spagna e di Cipro hanno mostrato in modo drammatico.
Ciò nonostante, nel 2015, il rapporto italiano debito/Pil ha raggiunto il 135 per cento, che è pari a 2191 miliardi di euro.
Il punto su cui la politica dei paesi europei in difficoltà finanziarie ha taciuto è che si dovevano contrarre i consumi, gli standard di vita, e tornare indietro dal terziario immateriale inefficiente verso la produzione competitiva di beni finalizzati a soddisfare la domanda mondiale, che ovviamente non è satura come quella europea, statunitense e giapponese sostenute dal debito pubblico. Il messaggio dei mercati finanziari è che questa capacità di fare debiti sta diminuendo, come testimoniano i downgrading progressivi dei debiti sovrani di molti paesi avanzati, inclusi gli Stati Uniti. Questa considerazione obbliga i governi in difficoltà a eliminare, senza ulteriori indugi, spese improduttive e sprechi, la cui sussistenza aggrava il social dumping a partire da una minore offerta di servizi pubblici ai cittadini.
Nel 2010, il tramonto della LF era avvenuto senza rimpianti perché essa era stata utilizzata per raggiungere fini opposti a quelli per cui era stata introdotta. Ciò aveva fatto emergere la perversità e l’inadeguatezza della politica economica e finanziaria italiana di un trentennio e confutato la tesi che aveva indicato nel testo costituzionale il motivo dei suoi fallimenti. Questi andavano invece addebitati alla miopia, corruzione e mancanza di interesse generale della classe politica italiana, sia a livello centrale che regionale e locale. Il ritardo ultraventennale dell’istituzione delle Regioni, il mancato adempimento degli artt. 117-119 della Costituzione ante revisione e il ritorno alla centralizzazione del gettito dopo la revisione costituzionale del Titolo V ne erano stati altri esempi eclatanti. Ma la LS che ha preso il posto della LF ha assunto in modo oscillante il ruolo di legge economica di orientamento politico, economico e finanziario da parte dei governi.

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