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Fisco

La preoccupazione per le tasse dei più ricchi

“Abbiamo fatto un primo passo per venire incontro alle fasce medio basse, ma ora dobbiamo occuparci del ceto medio. Dopo aver ridotto l’IRPEF al ceto medio-basso dobbiamo pensare a quelli con un imponibile oltre 50 mila euro”. Così si è espresso recentemente il viceministro dell'Economia Maurizio Leo a proposito della riforma dell’imposta sui redditi delle persone fisiche (IRPEF).

Dai dati più recenti disponibili delle dichiarazioni dei redditi (2022) si rileva che i contribuenti italiani sono 41'497'318 con un reddito complessivo di 912'363'572'464 euro. Ne consegue che il reddito medio è di 21'986 euro.

La riforma fiscale del governo Meloni, entrata in vigore nel 2024, prevede la diminuzione di 2 punti in percentuale dell’aliquota del secondo scaglione IRPEF (dai 15 mila ai 28 mila euro), che è stato unificato al primo (fino a 15 mila euro di reddito).

Questa modifica fiscale comporta che: chi ha un reddito inferiore ai 15 mila euro non ha riduzioni d’imposta; chi ha un reddito tra 15 mila e 28 mila euro ha uno sconto fiscale che aumenta (da zero a 260 euro) più il reddito cresce; oltre i 28 mila di reddito si ha una riduzione di 260 euro (con alcune eccezioni tra 50 mila e 240 mila euro); oltre 240 mila euro lo sconto è ancora di 260 euro. Chi dispone del reddito medio (circa 22 mila euro) avrà uno sconto fiscale di 140 euro.

Sostenere che questa riforma sia stata realizzata “per venire incontro alle fasce medio basse” è palesemente in contrasto con i numeri reali, perché la riduzione d’imposta va a favore soprattutto di chi sta sopra il reddito medio, mentre per i redditi più bassi lo sconto è minimo o addirittura inesistente.

Considerati questi numeri, di conseguenza ci si potrebbe aspettare che la prossima riforma prendesse seriamente in considerazione i redditi inferiori alla media e in particolare quelli al di sotto dei 15mila euro, che nulla hanno ricevuto. E invece il viceministro Leo vorrebbe diminuire l’aliquota dello scaglione più elevato, per i redditi al di sopra di 50 mila euro.

È il caso di ricordare che la precedente riforma fiscale, attuata due anni fa dal governo Draghi, è stata analoga a quella del governo Meloni (cioè riduzione di 2 punti dell’aliquota del secondo scaglione IRPEF), ma lo sconto massimo è stato di 920 euro, proprio per chi ha un reddito di 50 mila euro.

A proposito: i contribuenti al di sopra i 50mila euro di reddito in Italia sono 2'518'983, il 6% del totale. Pertanto risulta difficile comprendere perché il governo si preoccupi di diminuire ulteriormente le imposte al 6% dei contribuenti più ricchi, sostenendo incredibilmente che si tratti del “ceto medio”. Con l’aggravante di non voler intervenire sui redditi più bassi.

La Costituzione stabilisce che la solidarietà è un dovere inderogabile (art. 2), ma le ultime riforme fiscali attuano di fatto una solidarietà alla rovescia: un aiuto ai più ricchi e poco o nulla ai più poveri. Così facendo sicuramente non si rimuovono gli ostacoli che impediscono l’uguaglianza dei cittadini (art. 3) e non stupisce che negli ultimi anni in Italia la povertà sia aumentata.

Come scriveva Prem Rawat “democrazia è pochi al servizio dei tanti e non tanti al servizio di pochi”.

L’anarchia fiscale di Giorgia Meloni

“Non penso e non dirò mai che le tasse sono una cosa bellissima, sono bellissime le libere donazioni non i prelievi imposti per legge”. Ecco la rivoluzione di Giorgia Meloni: i contribuenti non sarebbero più tenuti per legge (anzi, per Costituzione) a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva, ma attraverso bellissime libere donazioni.

Il dizionario infatti conferma che “un’imposta è un tributo ovvero un prelievo coattivo di reddito effettuato dallo Stato per sostenere la spesa pubblica”. Giorgia Meloni ha detto basta a questa bruttissima pratica voluta dagli intellettuali. La riforma del Governo – di conseguenza – prevederebbe che ciascuno donasse liberamente allo Stato quello che ritiene giusto.

Al mondo non esistono sistemi tributari simili. Potrebbe essere definito un fisco anarchico: ognuno dà ciò che vuole. Oppure un fisco filantropico, poiché non ci sarebbe un obbligo di dare, ma ci si affiderebbe al buon cuore di chi dona. Potrebbe anche essere definito come volontariato fiscale o fisco opzionale. Una specie di nuovo hobby: se sono appassionato, verso nelle casse del fisco; se non mi piace, evito di pagare.

Giorgia Meloni non lo dice, ma in questo modo si attuerebbe la massima semplificazione. Niente più imposte dirette o indirette, aliquote, scaglioni, deduzioni, detrazioni, esenzioni, evasione fiscale, ma soltanto erogazioni liberali allo Stato.

D’altra parte Giorgia Meloni non dice nemmeno che cosa accadrebbe se la somma dei contributi volontari non fosse sufficiente a garantire le risorse per le spese pubbliche. Qui forse si nasconde un subdolo cavillo. Ci potrebbe essere il rischio di dover introdurre una tassa per pagare il servizio richiesto. Certo non sarebbe una cosa bellissima, ma necessaria. Altrimenti, non si riuscirebbe a completare il ponte sullo stretto o si dovrebbe interrompere a metà un’operazione chirurgica, tanto per fare un paio di esempi.

È probabile però che Giorgia Meloni abbia pensato ad una soluzione alternativa, poiché è noto che la parola tasse la indispone. Pertanto si potrebbe fare in questo modo: chi si presenta al pronto soccorso firma una cambiale, cioè contrae un debito con lo Stato. E lo Stato per pagare il debito, chiede un prestito ai cittadini, come già avviene con l’emissione di titoli di Stato. A questo punto il gioco è fatto: il contribuente è contemporaneamente debitore e creditore dello Stato. Basta compensare le cartelle fiscali e il conto si annulla.

Effettivamente bisogna ammettere che si tratta di una soluzione geniale. Una riforma che tutti aspettavamo da 50 anni, cioè da quando è entrato in vigore l’attuale sistema tributario fondato su imposte dirette e indirette (in particolare, IRPEF e IVA).

Resta però un problema. A livello europeo si è stabilito che l’IVA ordinaria non può essere inferiore al 15%. Ma Giorgia Meloni troverà sicuramente il modo di aggirare l’ostacolo posto dai burocrati europei. Per esempio dichiarando che non ci sono beni a cui applicare l’IVA ordinaria. A tutti i prodotti si applica l’IVA straordinaria allo 0%.

Anche questa volta risuonano le parole profetiche di Oscar Wilde: “Posso credere a tutto, purché sia sufficientemente incredibile”.

La faccia buona del "pizzo di stato": il viceministro Leo

Il nono decreto attuativo della legge delega sulla riforma fiscale, riguardante la riduzione delle sanzioni tributarie per gli evasori “di necessità”, ha ottenuto oggi l’assenso preliminare del Consiglio dei Ministri. Il viceministro Maurizio Leo, richiamando i principi previsti dalla legge delega che giustificano i comportamenti evasivi per “sopraggiunte impossibilità”, ha proposto l’adozione di un sistema sanzionatorio più mite che, agendo sulle attuali regole del ravvedimento operoso, stabilirà sanzioni amministrative e penali basate sulla proporzionalità (e non più su un minimo e un massimo) per rendere il pagamento di quanto dovuto più conveniente per gli evasori.

Depotenziata la legge "manette agli evasori"

L’obiettivo viene raggiunto con la revisione di precedenti misure legislative, in particolare il Dlgs 74 del 2000 - “manette agli evasori” - rispetto al quale vengono riscritte le norme sui reati di omesso versamento di imposte (ritenute, IVA ), prevedendo una sorta di salvagente (o un salvacondotto!), ovvero la non punibilità penale per chi non paga per causa di forza maggiore, a meno che decida di pagare ratealmente l’intera imposta, con sanzioni (ridotte) e interessi. La legge vigente, che viene ora soppiantata dal decreto, prevede per l’omesso versamento delle ritenute – sopra la soglia di 150'000 Euro - una pena detentiva da sei mesi a due anni.

L’intenzione del viceministro è quella di prevedere, per coloro che si trovano in difficoltà straordinarie nel saldare i loro conti con il fisco, una linea più morbida, con sconti sul fronte amministrativo e penale (“riduzioni da un quinto a un terzo” per le sanzioni amministrative, secondo quanto da lui affermato in conferenza stampa…) che saranno meglio precisati dal testo del decreto attuativo quando sarà definitivamente pubblicato.

I nuovi "sanculotti" all'assalto della Bastiglia fiscale

“Prosegue senza sosta” - ha dichiarato ancora il viceministro - “la rivoluzione fiscale del governo mirata a costruire un sistema più equo e giusto a vantaggio di cittadini e imprese”. Una rivoluzione che ha il sapore piuttosto amaro di una “involuzione” fiscale, sempre più basata sulla disuguaglianza e sulle differenze di trattamento, a parità di reddito (e di influenza sociale), delle diverse categorie di contribuenti. Ci saranno contribuenti che potranno invocare “sopraggiunte impossibilità” a pagare le imposte, ed altri che non potranno farlo – come i lavoratori dipendenti e i pensionati – a cui le imposte vengono sottratte dai loro redditi ancor prima che tocchino le loro tasche. Le disparità sono e rimangono del tutto evidenti.

In sostanza, si è dinanzi all'ennesimo regalo agli evasori, perdonati e graziati per il reato che è stato cancellato con l’approvazione del decreto governativo. Che segue, per altri versanti e crinali, la cancellazione del reato di abuso di ufficio "finalizzato", naturalmente, all'encomiabile proposito di "snellire" e velocizzare la giustizia. Con la speranza, altrettanto naturalmente, che la giustizia non diventi però così veloce da non avere il tempo per i giudici di coglierla, perché diventata inesistente, e quindi di applicarla... Il che sarebbe un danno assai peggiore di quanto accade oggi per le note lentezze di una giustizia che - almeno sulla carta - esiste. All'opposto, con l'iniziativa del viceministro Leo, si ha la sensazione di ritrovarsi nell'ennesimo invito ad assecondare l'evasione fiscale. Un incoraggiamento che nel Bel Paese ha storicamente una platea sterminata di fans, e che sembra essere diventato anche il tratto distintivo di questo governo.

Posizione non invidiabile per le speranze di ridurre il debito pubblico. Ma con una Presidente del Consiglio che mesi addietro non trovò di meglio che bollare le imposte come “pizzo di Stato”, è abbastante evidente che a ministri, viceministri e sottosegretari non resta che il famoso motto latino "ubi maior, minor cessat". Che tradotto in versione popolare sta per "attacca il ciuccio dove vuole la padrona". Se poi il ciuccio morirà soffocato dai debiti, tranquilli: nessuno pagherà, tanto tutto sarà stato depenalizzato...

Fonte: https://www.laportadivetro.com/post/la-faccia-buona-del-pizzo-di-stato-il-viceministro-leo

 

Gli italiani e le tasse il rapporto squilibrato

«Non dirò mai che le tasse sono bellissime». Con questa frase, pronunciata per enunciare l’azzeramento delle cartelle (un piccolo cadeaux per gli autonomi), la premier Giorgia Meloni entra ufficialmente nell’antologia delle citazioni fiscali.

Risponde al ministro Tommaso Padova Schioppa: «Dovremmo avere il coraggio di dire che le tasse sono una cosa bellissima, un modo civilissimo di contribuire a servizi indispensabili come la salute e la scuola». Correva, anzi tassava, l’anno di grazia 2008. La regina delle citazioni fiscali è attribuita a Benjamin Franklin («nella vita di sicuro ci sono solo la morte e le tasse»). Luigi Einaudi spiegava che il denaro dei contribuenti era sacro. Keynes affermava che «sfuggire alle tasse è l’unica impresa intellettuale che offra ancora un premio». L’Italia in questo è campione mondiale. L’ultima relazione sull’economia dell’Istat parla di mancate entrate tributarie per 72,3 miliardi di euro (tre manovre economiche). Se aggiungiamo quelle contributive arriviamo a 83,6 miliardi. Non c’è un caso simile forse in tutta Europa. Per rimanere all’Europa.

Insomma le tasse sono bellissime o no? Cominciamo col dire che è uno dei pochi modi che ha uno Stato per finanzarsi e dunque erogare servizi indispensabili, necessari alla collettività, come sanità, scuola, ordine pubblico e difesa militare. Altre forme di introito possono arrivare dalle imprese pubbliche (però la storia insegna che di solito le aziende di questo tipo più che ricavi producono perdite) o dalla svendita del patrimonio statale (ma ormai ci stiamo vendendo anche i gioielli di famiglia). Resterebbe l’antico rimedio di stampare moneta, ma così si produce solo inflazione, che di per sé è una tassa che svantaggia soprattutto i poveri, essendo lineare. L’ultimo il rimedio di prendere soldi a prestito con i titoli di Stato (ma è un cane che si morde la coda perché poi gli interessi si pagano con i soldi dei contribuenti, e dunque ancora tasse). Dunque né belle né brutte, ma inevitabili. Il problema è che le tasse diventano bruttissime quando non vengono versate in maniera equa. Sempre secondo i dati Istat, il gettito d’imposta è coperto per oltre la metà da lavoratori dipendenti. Inoltre per ogni contribuente che versa almeno un euro ce ne sono due che non versano nulla. Alla fine il 42% dei contribuenti paga il 91% del totale. In definitiva il 54% della popolazione ha redditi mediani inferiori a 10mila euro lordi l’anno. Possibile? Eppure - grazie a Dio - in Italia non ci sono 20 milioni di poveri. È questa l’anomalia tutta italiana: l’evasione fiscale. Che non è soltanto un peccato di omissione ma è anche un modo per prevalere sui contribuenti onesti, cornuti e mazziati.

L’impresa che paga le tasse sarà sfavorita dall’impresa che le evade perché la seconda avrà a disposizione più liquidità e dunque potrà fare concorrenza sleale con investimenti e offerte maggiori nelle aste. L’evasore, in quanto formalmente povero, sale in cima alla lista degli aventi diritti negli asili nido e nelle tasse universitarie dei figli, nei benefits fiscali decretati dal governo, nelle facilitazioni di ogni tipo. Il «finto povero» è una categoria parassitaria piuttosto odiosa, meno eroica di quanto venga dipinta. Se tutti pagassimo le tasse in maniera equa, come prescrive la Costituzione (articolo 53: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacitàù contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività») le tasse diverrebbero non dico bellissime, ma almeno «carine», diciamo «graziose», insomma presentabili, questo sì.

Fonte: https://www.ecodibergamo.it/stories/premium/Editoriale/gli-italiani-tasse-rapporto-squilibrato-o_2080681_11/

 

Una riforma fiscale irrazionale

Dilettanti allo sbaraglio. È difficile trovare altre parole per definire la scelta dei ridurre (da 4 a 3) le aliquote sull’imposta sui redditi delle persone fisiche (IRPEF) per il 2024 da parte dell’attuale Governo. Il giudizio può sembrare a prima vista eccessivo, ma è nei dettagli che si può cogliere l’effetto reale della riforma.

La novità è la diminuzione dell’aliquota dello scaglione di redditi compreso tra 15'000 e 28'000 Euro, che scende dal 25% al 23%, allineandosi allo scaglione precedente (fino a 15'000 Euro). Per valutare in concreto l’incidenza fiscale dell’accorpamento di questi due scaglioni, si può verificare il risparmio di imposta in relazione alla variazione dei redditi.

  • Al di sotto della no tax area (che arriva fino a 8'500 Euro) nulla cambia, perché non si pagano imposte.

  • Al di sopra del reddito esente fino ai 15.000 Euro di reddito (di solito un lavoratore part-time) non c’è alcun risparmio.
  • Tra 15'000 e 28'000 Euro di reddito si ha un risparmio crescente, che sale in relazione all’aumento del reddito.

Ad esempio, per chi ha un reddito di 20'000 Euro lo sconto è di 100 Euro, mentre per un reddito di 28'000 lo sconto è di 260 Euro.


  • Tra 28'000 e 50'000 Euro lo sconto è sempre di 260 Euro.
  • 
Anche sopra i 50'000 Euro il risparmio è di 260 Euro, ma che tende ad annullarsi soltanto se il contribuente usufruisce di detrazioni fiscali.
  • 
Per i redditi superiori a 240'000 Euro si applica lo sconto pieno di 260 Euro, poiché per questi redditi non sono previste detrazioni.

Proviamo ad interpretare ed esemplificare le cifre.


  • Se sei povero, non sono previsti sconti fiscali.
  • Se hai un reddito basso, il risparmio è maggiore per chi ha un reddito che si avvicina a quello medio.
  • 
Se hai un reddito medio-alto, ottieni il risparmio maggiore.
  • 
Se hai un reddito alto, lo sconto diminuisce se hai maggiori spese (universitarie, di trasporto, ecc.).
  • 
Sei hai un reddito altissimo, hai lo sconto pieno.

È evidente che questa distribuzione del risparmio fiscale non è equa e nemmeno ragionevole. Anziché intervenire con uno sconto progressivo sulle imposte (cioè maggiore per chi ha un reddito più basso), di fatto il Governo ha scelto di attuare un criterio regressivo (aumentando lo sconto sostanzialmente per i redditi più elevati). Inoltre, in questa tendenza che favorisce i contribuenti più abbienti, si intravvede una penalizzazione delle famiglie che hanno più spese e di conseguenza detrazioni fiscali.

Il disegno della riforma è talmente illogico che ci si domanda se si tratti di una scelta ideologica consapevole oppure dell’effetto di interventi decisi senza conoscenza delle ricadute reali. Difficile anche giudicare se la causa risieda in una politica regressiva o piuttosto in un’incompetenza tecnica. Forse si tratta di entrambe le caratteristiche di un Governo che ha l’intenzione di andare in una direzione tendenzialmente antisolidale e anticostituzionale, ma che di fatto adotta soluzioni pasticciate e irrazionali.

Non dimentichiamo che, come scriveva Robert Stevenson, “la politica è forse l’unica professione per la quale non si ritiene necessaria alcuna preparazione”.

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