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L’avventura dell’ARDeP nacque nei primi Anni Novanta dallo slancio generoso e dalla lungimiranza del “volontario fiscale” Luciano Corradini, che da illuminato pedagogista avviò un vero e proprio “programma educativo” sul debito pubblico e i conti dello Stato, nel momento forse più nero della nostra storia economica recente: nell’autunno del ‘92, infatti, l’Italia rischiò la bancarotta e l’uscita dal Sistema monetario europeo anche per l’eccessivo debito pubblico (aveva raggiunto il 124% del PIL).

La convinzione che ci spinse a fondare l’ARDeP fu che il processo di risanamento finanziario dello Stato non può essere affidato soltanto agli economisti e ai tecnici del Governo e della Banca d’Italia, ma richiede una condivisione più larga che coinvolga i cittadini. Il lento e faticoso percorso di risanamento finanziario e il calo del debito dal 124 al 103,6% del PIL nel 2007 è avvenuto anche perché attorno a questo obbiettivo si è potuto costruire un consenso democratico, che ha avuto nel Presidente Carlo Azeglio Ciampi il suo riferimento istituzionale.

Oggi siamo alle prese con un’altra difficile crisi finanziaria ed economica esplosa negli Stati Uniti nel 2008 e che ha imposto agli Stati di intervenire con centinaia di miliardi per salvare le banche e sostenere l’economia, il problema dei debiti sovrani degli Stati si è imposto all’attenzione del mondo: il nostro debito pubblico, che è tra i più grandi al mondo e quest'anno, a causa del calo del Pil del 2% circa, raggiungerà il 123,4% del Pil, pari a 1980 miliardi. Questo enorme debito spaventa gli investitori finanziari internazionali (che temono che l’Italia non sarà in grado di rimborsare i titoli di Stato), ed è conseguentemente stato preso di mira dagli speculatori, che cercano di approfittare delle debolezze e delle paure altrui. Così, sull’onda della sfiducia, è iniziata la spirale perversa dello spread, cioè della differenza tra i nostri tassi e quelli tedeschi, che rischia di far aumentare gli interessi passivi (oggi 84 miliardi l’anno) e di soffocare l’economia nazionale.

Così, obtorto collo, il tema della riduzione del debito si è imposto all’attenzione del Paese e della politica.

Dal recente dibattito sulle privatizzazioni e su vari tipi di patrimoniale si ricava l’impressione che non ci sono ricette facili per ridurre il debito, non ci si può illudere che con un colpo di bacchetta magica possiamo risolvere 30 anni di politica e di finanza allegra. Bisogna dunque mettere la riduzione del debito al centro di tutte le politiche nazionali e adottare una serie di iniziative che coinvolgano ampi strati della società, anche perché pezzi più o meno grandi di debito stanno nei patrimoni e nei redditi di tutti noi, e ovviamente soprattutto dei cittadini più benestanti.

È questa la proposta dell’ARDeP (rilanciata sul Corriere della Sera dall’ex banchiere Pietro Modiano, oggi presidente di Nomisma) di creare un vero e proprio Fondo per la Riduzione del Debito (FDR) al quale far affluire non solo i proventi delle privatizzazioni che realisticamente si potranno fare nei prossimi anni, ma anche tutte le entrate straordinarie dello Stato (proventi della lotta all’evasione, proventi dall’affitto delle opere d’arte non esposte nei musei, come prevede un progetto di legge ispirato dalla nostra associazione), più eventuali tasse di scopo (per esempio un temporaneo inasprimento delle tasse di successione che oggi godono di una franchigia di ben un milione per ogni erede diretto), più le cosiddette “restituzioni” proposte dall’ARDeP, cioè un parziale rimborso allo Stato da parte dei cittadini che più hanno ottenuto nei decenni scorsi dalla spesa pubblica (politici che hanno goduto di indennità e vitalizi sproporzionati al loro reale impegno; azionisti e manager delle imprese che hanno goduto di incentivi pubblici, contribuenti che hanno goduto dei vari condoni fiscali, edilizia, contributivi; baby pensionati che hanno continuato a lavorare; inquilini di case popolari con reddito superiore a quello necessario per ottenerle e via elencando).

Abbiamo infine lanciato l’idea di emettere Btp decennali a tasso ridotto del 2%, con un "premio" al raggiungimento degli obbiettivi di risanamento: per esempio un altro 2% quando il debito scenderà sotto il 100% e un altro 2% sotto l'80%: così lo Stato ridurrebbe subito i tassi d’interesse, ma i cittadini sarebbero indotti a “scommettere” sul risanamento perché otterrebbero indietro una parte degli interessi risparmiati quando il debito sarà calato.

Insomma, per dimezzare il debito nei prossimi vent’anni come prevede il Fiscal Compact, il trattato europeo che il Parlamento ha approvato nelle settimane scorse, dovremo recuperare entro il 2032 la bella cifra di 970 miliardi (pari a 45 miliardi l’anno). Non saremo in grado di farlo se per alcuni anni non ci concentreremo su quest’ obbiettivo, devolvendo alla riduzione del debito tutte le risorse disponibili, e senza deprimere troppo la crescita economica, perché alla lunga senza crescita neppure il debito si potrà ridurre.

È un sentiero stretto e impervio. Ma ci rassicura l’idea che l’obiettivo è alla nostra portata, sia perché gli italiani sono un popolo ricco, con 8600 miliardi di patrimonio delle famiglie (pari a oltre 4 volte il debito e a 8 volte i 970 miliardi necessari per dimezzarlo), sia perché siamo un popolo che nella storia ha saputo vincere anche le sfide più difficili, dalla ricostruzione postbellica al terrorismo.

La riduzione del debito resta dunque un obbiettivo indispensabile per il nostro Paese.

Bisogna solo essere consapevoli della sfida e non illudersi che vincerla sia solo un “affare da tecnici”.

Scritto da Paolo Mazzanti, settembre 2012

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