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Creato: Venerdì, 23 Febbraio 2024 00:00
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Scritto da Rocco Artifoni
105 miliardi di euro: è l’aumento del debito pubblico italiano nel 2023 calcolato dalla Banca d’Italia. Infatti, il conto in rosso delle amministrazioni pubbliche era di 2'758 miliardi alla fine del 2002 ed è salito a 2'863 miliardi al termine del 2023. Questo aumento del 3,8% dello stock del debito è dovuto in gran parte al pagamento degli interessi. Nel 2022 la spesa per gli interessi passivi sul debito è stata di 83 miliardi di euro. Non è ancora disponibile il dato relativo al 2023, ma si stima che il costo sia vicino a 100 miliardi di euro.
Di conseguenza anche nel 2023 lo stato italiano ha chiuso il bilancio in perdita per gli interessi dovuti ai creditori. A causare l’aumento del debito è il debito stesso, in un circolo vizioso che si autoalimenta. Una classe politica responsabile – al di là delle regole del patto di stabilità europeo – dovrebbe porsi il problema di come uscire da questa spirale che comporta un enorme spreco di risorse. Invece, anche l’ultima manovra economica presentata dall’attuale governo è stata di 24 miliardi (cioè un quarto della spesa per interessi), di cui 16 miliardi a debito.
Di fronte a questa situazione ci si aspetterebbe un soprassalto di attenzione, una ripresa della consapevolezza che non è sensato continuare su questa falsariga. Tanto più che nei documenti di previsione dei prossimi anni è già indicato un ulteriore aumento del debito sia in termini assoluti sia in relazione alla ricchezza prodotta (rapporto debito/PIL). Dovrebbe scattare un allarme politico, perché chi è molto indebitato (e l’Italia ha il più grande debito in Europa) non dispone delle risorse necessarie per dare risposte concrete ai bisogni sociali e per garantire i diritti riconosciuti dalla Costituzione.
Periodicamente viene pubblicato il dato del nuovo record del debito pubblico, ma questa informazione fondamentale per le sorti del Paese, viene appresa come l’arrivo di una nuova perturbazione metereologica, che prima o poi passerà. Ma il debito resta con tutte le conseguenze negative. Eppure la notizia scivola via nell’indifferenza generale, come se non ci riguardasse. Chissà per quale ragione di fronte al problema del debito pubblico il patriottismo – spesso esibito con orgoglio – scompare.
Viene in mente la storiella raccontata da Piero Calamandrei agli studenti milanesi nel 1955 in un discorso sulla Costituzione: “Due emigranti, due contadini traversano l’oceano su un piroscafo traballante. Uno di questi contadini dormiva nella stiva e l’altro stava sul ponte e si accorgeva che c’era una gran burrasca con delle onde altissime, che il piroscafo oscillava. E allora questo contadino impaurito domanda ad un marinaio: «Ma siamo in pericolo?». E questo dice: «Se continua questo mare tra mezz’ora il bastimento affonda». Allora lui corre nella stiva a svegliare il compagno. Dice: «Beppe, Beppe, Beppe, se continua questo mare il bastimento affonda». Quello dice: «Che me ne importa? Non è mica mio!».”
Il debito pubblico sta creando grosse falle nella barca Italia e rischia di farla affondare. Massimiliano Dona, presidente dell'Unione Nazionale Consumatori, ha recentemente dichiarato: “Se considerassimo questo debito come un debito personale, sarebbe un livello di indebitamento da infarto, pari a 48.524 euro. Anche in questo caso, si tratta del dato peggiore mai registrato. Se fosse un debito familiare, in media ammonterebbe a 108.438 euro”. Forse è necessario far scattare questo “se” per passare dall’indifferenza alla responsabilità. Ogni genitore personalmente cerca di non lasciare debiti ai figli.
Collettivamente invece stiamo lasciando un carico pesante alle generazioni future. Non è una buona politica.
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Creato: Giovedì, 08 Febbraio 2024 00:00
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Scritto da Cleto Iafrate
Il rapporto OCSE sull’economia italiana.
L’OCSE è un’organizzazione internazionale di studi economici, apolitica e apartitica, che svolge prevalentemente un ruolo di assemblea consultiva per la risoluzione dei problemi comuni dei 36 Paesi membri.
Nel suo rapporto annuale sull’economia italiana, diffuso la scorsa settimana, l’OCSE ha rilevato che i mali del nostro Paese sono l’alto debito e la bassa crescita economica e demografica.
Si tratta di considerazioni che sostanzialmente non contraddicono quelle elaborate dal nostro Governo nel programma ufficiale di finanza pubblica. Anche se i dati rilevati dai tecnici dell’OCSE sono più pessimisti, sia nella crescita a breve termine, che per quest’anno il MEF fissa a +1,2% e i tecnici dell’OCSE a +0,7%, e sia rispetto al debito pubblico, che l’OCSE calcola al 141,4% del PIL (1,2 punti sopra l’indicazione del Governo italiano). Inoltre, secondo l’OCSE, in assenza di interventi strutturali sui conti, il debito pubblico nel 2040 raggiungerà quota 180% del PIL.
La ricetta anti-debito proposta dall’Organismo internazionale prevede un contributo di solidarietà sulle pensioni più alte che non sono sostenute integralmente dai contributi versati (le vecchie pensioni calcolate integralmente col retributivo, che rendono mediamente di più di quanto avrebbero reso se fosse stato loro applicato il metodo contributivo, soprattutto se frutto di pensionamenti anticipati).
Inoltre, l’OCSE prescrive di “spostare le imposte dal lavoro alla proprietà e all’eredità” (leggasi, patrimoniale) e di continuare a contrastare l’evasione fiscale, anche abbassando il tetto sui pagamenti in contanti.
I provvedimenti assunti dal Governo italiano.
Iniziamo dall’ultimo punto. Rispetto all’abbassamento del tetto sui pagamenti in contanti, l’Italia è andata nella direzione opposta. Infatti, uno dei primi provvedimenti assunti dal nuovo Governo è stato quello di innalzare il tetto all’uso del contante (insieme all’eliminazione dell’uso della moneta digitale per i pagamenti sotto i 60 euro). Dal 1° gennaio 2023, infatti, la soglia per il trasferimento di denaro contante nel nostro Paese è passata da mille a cinque mila euro. La Corte dei Conti, in quella occasione, ha sottolineato che innalzare il tetto al contante contrasta con la necessità di fare emergere il nero “in quei settori rivolti al consumatore finale ove più diffusi sono i fenomeni evasivi. (…) Una riduzione dell’uso del denaro contante, il cui trasferimento – per definizione – non è tracciabile, potenzia l’azione di controllo e, ancora prima, rende le attività criminose più difficili da compiere”.
Un ulteriore provvedimento assunto dal Governo si chiama “concordato preventivo”.
Il testo approvato dal Governo prevede che lo Stato faccia all’imprenditore una proposta di imposte da pagare per i prossimi due anni.
Se l’imprenditore accetta la proposta, non dovrà pagare nulla in più, anche se poi i ricavi si rivelassero di molto superiori e per due anni di fatto non verrà più controllato.
Inoltre, il testo prevede una specie di evasione fiscale programmata; ovverosia, prevede che chi occulta meno del 30% degli incassi non decada dal beneficio del concordato preventivo. Il provvedimento appare iniquo sotto diversi punti di vista. Da una parte fa un regalo a quei lavoratori autonomi i cui incassi sono superiore a quelli fissati dal concordato e dall’altra penalizza tutti gli altri i cui incassi sono inferiori a quelli stabiliti dal Governo, perché li costringe a pagare più imposte di quelle dovute per scongiurare il rischio dei controlli fiscali.
Valutazioni e proposte
C’è una parola che piace molto a questo Governo, la parola è “differenziata”. Purtroppo, questa parola in un recente disegno di legge è stata usata a sproposito. Infatti, l’autonomia differenziata farà aumentare le diseguaglianze sociali tra le regioni e l’ovvia conseguenza sarà un ulteriore grave sgretolamento della coesione sociale.
Al contrario, il nostro Paese in questo momento avrebbe bisogno di provvedimenti normativi che facciano recuperare solidarietà e coesione sociale. Dunque, piuttosto che differenziare i territori, andrebbero differenziati i contribuenti.
Insomma, l’Italia non ha bisogno di un’autonomia differenziata, bensì di una “patrimoniale differenziata”.
Una patrimoniale che tassi in maniera “differenziata” i patrimoni degli italiani in ragione della loro congruità.
Più nel dettaglio, si tratta di mettere a confronto la somma dei redditi dichiarati nel più lungo arco di tempo consentito dal sistema informativo dell’anagrafe tributaria (gli ultimi quindici, venti anni) con l’intero patrimonio nella disponibilità del contribuente.
Nulla da temere per chi non ha "scheletri nell'armadio", perché con questo metodo verrebbero alla luce solo i patrimoni intestati a prestanome, quelli provenienti da attività illecite e, in particolare, dall’autoriclaggio dell’evasione.
In questo modo ciascun cittadino contribuirebbe in modo molto diverso in base alla sua fedeltà fiscale. A tal proposito appare superfluo precisare che ogni anno l’evasione di imposte e contributi vale oltre 100 miliardi di euro.
Lo stesso discorso andrebbe esteso, come suggerito dall’OCSE, all’imposta di successione e donazione. Essa dovrebbe dipendere dalla congruità dell’asse ereditario al reddito dichiarato in vita dal de cuius.
Dunque, piuttosto che differenziare l’autonomia dei territori, andrebbero differenziati i contribuenti nei territori.