Ormai siamo abituati ad attenderci che ogni anno il debito pubblico dello stato italiano cresca in valore assoluto. Infatti, ecco i dati – forniti da Banca d’Italia – degli ultimi anni: 2.410 miliardi di euro nel 2019, 2.573 miliardi nel 2020, 2.678 miliardi nel 2021, 2.758 miliardi nel 2022, 2870 miliardi nel 2023 e 2967 miliardi di euro nel 2024. In 5 anni il debito è aumentato di 557 miliardi di euro (+ 23,1%). Nell’ultimo anno è cresciuto di 97 miliardi (+ 3,4%).
Quello che raramente viene evidenziato è l’andamento della ricchezza finanziaria degli italiani. Ecco i dati, forniti dalla Federazione Autonoma Bancari Italiani (FABI): 4.664 miliardi di euro nel 2019, 4.800 miliardi nel 2020, 4.999 miliardi nel 2021, 5.138 miliardi nel 2022, 5.781 miliardi nel 2023 e 6.031 miliardi di euro nel 2024. La ricchezza finanziaria dei cittadini italiani negli ultimi 5 anni è aumentata di 1.367 miliardi (+ 29,3%). Nell’ultimo anno è cresciuta di 250 miliardi (+ 4,3%).
Il debito pubblico continua ad aumentare perché lo stato italiano ogni anno chiude il bilancio in passivo nel confronto tra entrate (soprattutto imposte) e uscite (compresi gli interessi sul debito). Al contrario, gli italiani – considerati complessivamente – ogni anno si ritrovano con un bilancio positivo tra entrate (inclusi gli interessi sui titoli di stato) e uscite (tasse comprese). L’aumento della ricchezza privata non riguarda tutti i cittadini, ma soltanto i più abbienti, perché le statistiche mostrano come negli ultimi anni in Italia siano aumentate le povertà e le disuguaglianze.
Analizzando in dettaglio i dati forniti dalla FABI, i maggiori aumenti di ricchezza in percentuale negli ultimi 5 anni si rilevano nei derivati e nelle stock option (+ 1.277%), nei titoli di stato (+ 84%) e nelle azioni (+ 73%). È evidente che è soprattutto chi dispone di capitali da investire che si è arricchito, confermando il detto che i soldi producono soldi. Questi dati implicitamente mostrano che l’attuale sistema fiscale è iniquo, poiché le imposte sui redditi da capitali sono inadeguate.
Negli ultimi decenni il legislatore italiano ha introdotto sempre di più forme di tassazione separata, con imposte fisse e con ricavi non cumulabili. In questo modo è stata sottratta al fisco una parte significativa del gettito, creando forti disparità tra cittadini a parità di reddito. Questa riduzione delle entrate fiscali ha contribuito all’aumento del debito pubblico e anche alla crescita della ricchezza privata soltanto di alcuni.
È noto ad esempio che l’aumento del debito statale implica una crescita della spesa per interessi da versare a chi acquista i titoli di stato. Questo meccanismo sottrae risorse alla spesa pubblica (per la sanità, per la scuola, ecc.), incrementando la ricchezza di chi detiene i titoli pubblici. In sintesi, lo stato si impoverisce e alcuni cittadini si arricchiscono.
Un osservatore esterno e neutrale a rigor di logica potrebbe ipotizzare che per evitare la crescita del debito pubblico si dovrebbero limitare gli aumenti di ricchezza degli italiani più abbienti. Matematicamente si può facilmente calcolare che, se negli ultimi 5 anni la ricchezza degli italiani fosse aumentata “soltanto” di 810 miliardi di euro, destinando 557 miliardi di euro allo stato, il debito pubblico non avrebbe subito aumenti. Evidentemente, a fornire queste risorse dovrebbero essere proprio quelli che hanno beneficiato degli aumenti.
Tutto questo sarebbe sensato se il debito pubblico venisse percepito come debito di tutti, anzi come un’eredità negativa che non si dovrebbe lasciare alle prossime generazioni. Invece, si ragiona in altro modo: la ricchezza è privata mentre il debito è pubblico, quindi quest’ultimo è un problema dello stato e non del contribuente. Resta il fatto che la ricchezza finanziaria privata degli italiani è più del doppio del debito pubblico dell’Italia. Di fronte a questi dati una riforma fiscale si dimostra sempre più necessaria.
In realtà molti politici fanno a gara nel proporre tagli alle tasse, evitando di considerare il problema del debito pubblico. Perché i cittadini che pagano le imposte (e anche gli evasori) votano, mentre le future generazioni non possono recarsi alle urne. Pertanto, si persiste nel circolo vizioso di ridurre le imposte private, aumentando di fatto il debito pubblico.
La Costituzione italiana prescrive la solidarietà come dovere inderogabile. Ne consegue che chi ha di più potrebbe e dovrebbe dare più risorse alla collettività, anche per sostenere chi ha di meno. Nel frattempo, sarebbe opportuno che chi ha di meno smettesse di votare per chi ha di più. La democrazia senza equità rischia di essere un regime ingiusto.