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Se qualcuno proponesse di pagare le imposte sulla base dei redditi di 30 anni fa, probabilmente si procederebbe con un TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio), una cura medica contro la volontà del proponente. Se per ipotesi assurda, infatti, la proposta venisse attuata, ci sarebbero contribuenti che oggi non pagherebbero nulla, poiché 30 anni fa non avevano reddito. Altri, invece, pagherebbero il doppio, poiché adesso percepiscono una pensione minima, mentre tre decenni fa avevano un stipendio più elevato. Insomma, si creerebbero piccole o grandi disparità, poiché in 30 anni la situazione personale può essere cambiata anche notevolmente. Tutti saremmo concordi nell’affermare che si tratterebbe di un’ingiustizia fiscale incostituzionale!

Se al posto dei redditi applicassimo la proposta alle rendite catastali degli immobili, il risultato sarebbe del tutto analogo. Ci sono case che 30 anni fa avevano un discreto pregio, ma che oggi sono fatiscenti. E altre che hanno acquistato valore, poiché il contesto è cambiato. Ci sono anche immobili che 30 anni fa non risultavano al catasto (costruiti abusivamente) e che oggi, rilevati, si potrebbero inserire nell’archivio catastale. In altre parole, anche per le rendite degli immobili si creerebbe un’evidente ingiustizia che troverebbe la contrarietà di ogni cittadino di buon senso.

Ma sappiamo tutti che le due situazioni sono differenti: attualmente per i redditi si tiene conto dell’aggiornamento annuale, all’opposto, per le rendite catastali i valori sono bloccati da oltre tre decenni. Ma la sostanza del ragionamento non cambia. Per ragioni di equità e correttezza si dovrebbe procedere all’aggiornamento dei valori catastali per avvicinarli il più possibile al valore reale di mercato.

Tuttavia, è curioso rilevare che in Italia proprio chi professa la libertà di mercato è contrario ad aggiornare il catasto ai prezzi di mercato. Liberisti ad oltranza soltanto quando conviene? Se si procedesse davvero all’attualizzazione del catasto, ovviamente non bisognerebbe ripetere l’errore di procedere una tantum, lasciando poi invariati i valori per altri decenni. Occorre introdurre un metodo che ogni anno aggiorni i valori effettivi, come si fa per i redditi.

In Francia, per non spingersi molto distante, funziona già così. E a nessun francese passa per l’anticamera del cervello che aggiornare i valori del catasto si traduca necessariamente in un aumento delle imposte. Si potrebbe anche decidere di lasciare sostanzialmente invariato il gettito proveniente dagli immobili, ma di rideterminare l’imposta corretta che ogni proprietario deve pagare sulla base della condizione reale degli immobili. Qualcuno pagherà di più, altri verseranno di meno. Non a caso, la Costituzione la chiama capacità contributiva, che deve essere anzitutto equa.

Poi si può discutere se le imposte sugli immobili siano troppo alte o troppo basse, se debbano essere proporzionali o progressive, se sia giusto utilizzare gli stessi criteri per un proprietario di due appartamenti e per un altro che ne possiede venti. In Italia sarebbe già una rivoluzione se le norme (in questo caso i valori catastali) fossero adeguate alla realtà. Tommaso d’Aquino, nel trovare corrispondenza con gli insegnamenti di Aristotele, scriveva che “veritas est adaequatio intellectus et rei”. Pertanto, quando i criteri non sono adeguati alla realtà, permaniamo nella falsità. Già, ma quanti politici italiani amano la “veritas”?

Fonte: https://www.laportadivetro.org/la-riforma-del-catasto-e-ricerca-di-verita/

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