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Debito

3.3 I rischi d’instabilità finanziaria durante le due crisi (2008-2015) e la nuova governance europea

In Italia, le conseguenze dell’intreccio tra debito e declino si sono conclamate nel secondo semestre 2011, quando i mercati finanziari internazionali hanno sanzionato i rischi crescenti associati all’ impasse politica in un tempo di crisi che aveva smentito ripetutamente la presunzione "too big to fail" con l’evidenza di default sia di grandi banche che di Stati sovrani. Nella sintesi di una conferenza tenuta a Roma nel 2011, Willem Buiter aveva concluso: "Sovereigns are like banks: even when sound, they are at risk of illiquidity…The New Normal is: no more absolutely safe sovereigns; G7 AAA soon only in history books".
I differenziali sui tassi d’interesse tra paesi di un’unione monetaria aiutano a farci un’idea del rischio connesso a questo scenario, in quanto possono essere interpretati come il premio che si deve pagare ai potenziali acquirenti dei propri titoli di debito per compensarli del rischio di inadempienza ad essi associato. Tali rischi non sono mai nulli, e così pure i costi di organizzare un sistema di garanzie.
Gli spreads sui tassi d’interesse rilevati in seguito all’entrata dei paesi nell’UME, dalla fine degli anni ’90 fino allo scoppio della grande crisi del 2008, sono stati quasi sempre inferiori ai cinquanta punti base. Nel 2008 gli spreads sono saliti drasticamente soprattutto per i PIGS (Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna). Il caso della Grecia nel primo semestre 2010 ha testato la fattibilità politica di un “paracadute”, anche se a prezzo di una dura politica di austerità, e spezzato una lancia a favore della tesi che le unioni monetarie generino forti incentivi all’indisciplina di bilancio. Il timore del contagio spiega l’austerità fiscale richiesta dai paesi forti ai paesi deboli dell’Eurozona in cambio dell’assistenza finanziaria da parte della Banca Centrale Europea (BCE) mentre i paesi sotto attacco speculativo hanno tentato di superare da soli la crisi al fine di evitare misure severe che fanno precipitare il consenso sociale. Il caso dell’Irlanda nell’autunno 2010 ha confermato la presenza del “paracadute” europeo nonostante quanto previsto dalla clausola no bail out all’art.123(1) del Trattato sul Funzionamento dell’UE.
Keine Solidarität ohne Solidität (Nessuna solidarietà, se prima non si garantisce stabilità): le parole d’ordine del governo tedesco in fatto di bilancio pubblico hanno suscitato all’estero il sospetto che la Germania federale perseguisse mire nazionalistiche; tuttavia la richiesta finlandese e olandese di costringere la Grecia a garantire i prestiti ottenuti è stata poi fatta propria da tutti i membri dell’UE. Una politica fiscale restrittiva, come quella caldeggiata nella UE, soprattutto dal governo tedesco, ha spinto alla deflazione i paesi più gravati da debiti interni ed esteri. Tuttavia essa è coerente con il principio di responsabilità che implica l’accettazione di pagare per i propri errori. I paesi che hanno vissuto al di sopra delle loro risorse hanno dovuto contrarre i loro modelli di consumo e orientare la loro specializzazione produttiva sui beni esportati.
Quanto accaduto alla Grecia insegna che la necessità di ricevere aiuti crescenti dall’estero può condizionare la politica economica di un paese e costringerlo a cedere agli Stati creditori beni strategici come parti del proprio territorio, del proprio sistema produttivo, delle proprie infrastrutture di trasporto. Trascurare questa lezione può continuare a mettere a rischio la proprietà di importanti settori produttivi italiani. Ma vi sono alternative di percorso per i paesi fortemente indebitati, oltre alle politiche espansive dei paesi partner. Le considerazioni precedenti ci ricordano una importante lezione keynesiana che indica nel pareggio annuale del bilancio pubblico un feticcio e un merito nazionale nel pareggio di bilancio pluriennale. La sua applicazione dovrebbe prevedere una inversione metodologica importante: discretion versus rules, una rivalutazione del ruolo della politica economica che consenta di inserire nel PSC una clausola che consenta agli Stati membri di modificare, con una maggioranza appropriata, gli obiettivi di bilancio a breve termine, salvaguardando il pareggio nel medio termine. Ma ciò equivale a una rivalutazione della politica tout court.

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