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Fisco

Un rapporto della scuola Sant’Anna di Pisa e dell’Università Bicocca di Milano evidenzia le contraddizioni del nostro sistema tributario con i super-ricchi che pagano meno tasse degli altri.

Le tasse non sono uguali per tutti e questo in un Paese come l’Italia, alle prese con un’evasione purtroppo ancora elevata, è un dato di fatto. Ma a fotografare il paradosso di un sistema fiscale regressivo, che cioé penalizza chi fa fatica ad arrivare a fine mese, è uno studio congiunto realizzato dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e dall’Università di Milano-Bicocca. Nel complesso il sistema fiscale italiano appare “blandamente progressivo” e “diventa addirittura regressivo” per il 5% degli italiani più abbienti, che pagano un’aliquota effettiva (pari al 36%) inferiore a tutti gli altri contribuenti. Il rapporto inoltre conferma che esistono importanti differenze legate alla tipologia di reddito prevalente: sono i lavoratori dipendenti a pagare più imposte, seguiti dai lavoratori autonomi, dai pensionati. A pagarne meno chi percepisce redditi provenienti da rendite finanziarie e locazioni immobiliari. Da qui la necessità, segnalata dai ricercatori, di avviare una riforma del sistema fiscale in chiave inclusiva.

Lo studio, da poco pubblicato sul Journal of the European Economic Association, combina diverse fonti di dati: dichiarazioni dei redditi, indagini campionarie di ISTAT e Banca d’Italia e stime sulla distribuzione del patrimonio netto. Oltre a distribuire l’intero reddito nazionale, conteggia a livello individuale l’ammontare delle tasse e imposte raccolte dallo Stato (IPEF, IRAP, IMU, imposte sugli interessi, dividendi e tutte le transazioni finanziarie, imposte sui consumi e contributi sociali oltre ad ulteriori imposte minori. « In questo modo - commenta Andrea Roventini, autore dello studio, direttore dell’Istituto di Economia della Scuola Superiore Sant’Anna - abbiamo dimostrato che l’intero sistema fiscale italiano è solo blandamente progressivo per il 95% più basso della distribuzione del reddito, con un’imposizione fiscale che sale dal 40% al 50%. Il sistema diventa addirittura regressivo per il 5% dei contribuenti più ricchi con un’aliquota effettiva che scende fino al 36% per chi guadagna oltre i 500mila euro annui. Il sistema fiscale è addirittura sempre regressivo se si considera la distribuzione del patrimonio invece che quella del reddito».

La minore incidenza fiscale per i redditi più elevati è spiegata principalmente da fattori come l’effettiva regressività dell’IVA, il minor peso dei contributi sociali per i redditi superiori ai 100 mila euro, la maggiore rilevanza per i contribuenti più ricchi delle rendite finanziarie e dei redditi da locazioni immobiliari, tassati con un’aliquota del 12% o del 26%.

E mentre i ricchi continuano ad accumulare ricchezza i ricercatori stimano un calo del reddito reale degli italiani (dal 2004 al 2015) del 15%, che sale al 30% per la metà più povera della popolazione. Ad essere penalizzati i giovani tra 18 e 35 anni, che hanno perso circa il 42% del loro reddito.

La disuguaglianza di genere risulta significativa per tutte le classi di reddito e raggiunge valori estremi nell’1% più ricco della distribuzione, con le donne che guadagnano la metà degli uomini. Lo studio certifica che la metà più povera degli italiani detiene meno del 17% del reddito nazionale e vive con meno di 13mila euro all’anno. Invece l’1% più ricco ha circa il 12% del reddito nazionale, con una media di 310 mila euro all’anno, ottenuti soprattutto da redditi finanziari, profitti societari e redditi da lavoro autonomo, in gran parte derivante dal ruolo di amministratori societari. Solo una ridottissima parte dei redditi dei più ricchi è ottenuta grazie al lavoro dipendente. Ci sono poi i “Paperoni”, 50 mila italiani che rappresentano lo 0,1% della popolazione con entrate superiori al milione di euro annuo.

I ricercatori hanno messo a confronto la situazione italiana con quella di altri Paesi come la Francia e gli Stati Uniti. A destare preoccupazione il trend in diminuzione della quota di reddito detenuta dalle fasce di reddito meno abbienti. «A differenza della situazione in Francia, dove le fasce più deboli hanno visto un modesto aumento della loro quota di reddito - dice Alessandro Santoro autore dello studio e pro-rettore al Bilancio dell’Università di Milano-Bicocca - in Italia si osserva l’opposto, con le fasce più povere che diventano sempre più svantaggiate».

Fonte: Avvenire del 13 gennaio 2024.

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