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Se si accende la spia rossa del debito

Quando si accende una spia rossa nel cruscotto dell’automobile sarebbe opportuno fermarsi e cercare di capire qual è il problema, per evitare che il danno comprometta la possibilità di continuare il viaggio.

Di recente sulla vettura “Italia” si sono accese molte lampadine di allarme.

La Banca d’Italia ha segnalato che nel 2018 il debito pubblico è aumentato di 53,2 miliardi di euro, cioè 10 miliardi in più rispetto alla media degli ultimi 3 anni. Lo spread, cioè il differenziale tra titoli di stato italiani e tedeschi, è quasi raddoppiato in un anno (da 136 a 259 punti), il che significa che il costo degli interessi sul debito è aumentato di 1,23 punti in percentuale. Infatti, la spesa per gli interessi è passata da 65,6 miliardi di euro nel 2017 a 67,9 miliardi nel 2018.

L’ISTAT ha calcolato che nel 2018 il Prodotto Interno Lordo dell’Italia è cresciuto dello 0,9%, mentre l’anno precedente era salito dell’1,5%. Di conseguenza il rapporto tra debito e PIL nel 2018 ha raggiunto un nuovo record storico: 132,1% (nel 2017 era del 131,3%).

Tutto ciò è accaduto prima che entrassero in funzione due novità importanti, decise dalla maggioranza di governo, come quota 100 per il pensionamento anticipato e il reddito di cittadinanza per chi si trova sotto la soglia di povertà. Questi provvedimenti, a prescindere dalle valutazioni di merito, sono onerosi per le casse dello stato per parecchi miliardi di euro. Di fatto andranno ad aggravare la situazione debitoria, poiché si tratta di misure finanziate prevalentemente a deficit.

In questo scenario che non promette nulla di buono sulle prospettive economico-finanziarie dell’Italia, forse sarebbe necessario che l’autista fermasse l’automobile in un’area di sosta, per cercare di trovare un rimedio alle spie accese che segnalano problemi alla vettura. Oppure potrebbe continuare ad ignorare le luci rosse che lampeggiano o anche abbassare la luminosità del cruscotto per non vedere più le spie luminose. Ma questa non è un’alternativa vera: è soltanto un modo irrazionale di rinviare i problemi che si stanno aggravando.

Chi fa politica dovrebbe porsi al servizio della comunità, prendendo atto della situazione reale. Non serve far finta di nulla o rischiare di fondere il motore dell’auto. A volte è saggio decidere di fermarsi e cambiare strada. Per farlo occorre un navigatore particolare, che si chiama senso dello stato e salvaguardia del futuro, perché in realtà saranno i giovani a portare il fardello del debito.

In questi casi vale sempre la frase del teologo americano James Freeman Clarke che due secoli fa scrisse: “Un politico guarda alle prossime elezioni; uno statista guarda alla prossima generazione. Un politico pensa al successo del suo partito; lo statista a quello del suo paese”.

Debito pubblico un colossale caso di corruzione

Un Governo ingiusto

Debito pubblico, un colossale caso di corruzione

La natura e la rilevanza del debito pubblico italiano è l’effetto del più colossale caso di corruzione ai danni del popolo. Proviamo a riavvolgere il nastro e a ripartire dagli anni settanta.

In quegli anni grandi riforme ispirate dalla Costituzione videro la luce ed una stagione di rivendicazioni sociali ed economiche finalmente approdarono nel porto sicuro della giustizia sociale, segno che le lotte coinvolsero grandi strati della popolazione di fronte alle quali i governi dovettero piegarsi. Entrò in vigore una riforma fortemente progressiva dell’Irpef (imposta sul reddito delle persone fisiche), fu deciso l’intervento della Banca d’Italia a tutela del debito italiano, fu introdotta la scala mobile.

Eventi internazionali mutarono il quadro economico: le crisi petrolifere crearono un sistema finanziario importante che iniziò a contare sempre di più. La Banca d’Italia se ne accorse in ritardo e, soprattutto in occasione di alcuni scandali bancari in cui figurarono coalizzati banche private, Ior, mafia, politica e settori deviati dello Stato, cercò di fare luce e chiarezza, pagando un prezzo molto alto. La finanza che governava davvero l’Italia e la politica corrotta di quegli anni fecero guerra a tutto quello che poteva ostacolare questo processo inarrestabile di “mutazione genetica” e fecero, ingiustamente, incriminare i vertici della Banca d’Italia, giusto il tempo di creare le premesse per quello che è stato da molti definito “il colpo di Stato” finanziario ed economico più silenzioso ed efficace dalla fine della seconda guerra mondiale: il divorzio della Banca d’Italia dal Ministero del Tesoro.

Dopo questa scelta, unitamente a fattori internazionali, il nostro debito in rapporto al Pil raddoppia e nulla più resterà come prima. Il divorzio in realtà fu un accordo di non belligeranza. I conflitti, fino a quel momento forti e drammatici tra politica e Banca d’Italia che sostanzialmente vertevano sui rischi dei processi di finanziarizzazione per l’intero assetto internazionale, europeo ed italiano, furono barattati con l’allentamento dei controlli in cambio di un generale abbassamento del livello del conflitto. La politica e la finanza avrebbero lasciato in pace la Banca d’Italia ed in cambio questa avrebbe ridotto i controlli su un sistema finanziario infettato e colluso con la criminalità organizzata e con forti poteri diffusi che vedevano nella finanza ombra, e nella deregolamentazione, il nuovo Eldorado.

Il drastico allargamento della forbice tra top e down della scala sociale è un tratto caratteristico degli ultimi 30 anni della nostra storia. Fino agli anni ‘80 nei paesi avanzati il divario di ricchezza si era attenuato. Ma nella disuguaglianza c’è un forte vissuto di deprivazione relativa: uno “smottamento” per il Censis; la perdita relativa di ricchezza dei molti nei confronti dei più ricchi accresce invidia e risentimento sociale, alimentano il populismo e l’avventura politica; abbiamo sbagliato a pensare che il processo, molto accelerato, di benessere potesse non avere mai fine.

Le dinamiche di privatizzazione, utilizzate come risoluzione dei problemi, rappresentarono in realtà la capitolazione dinanzi ai nuovi padroni del mondo. Svelare questi meccanismi e renderli patrimonio comune può aiutarci ad arricchire il discorso pubblico sul debito e a non restare all’angolo cadendo nelle trappole della illusoria “crescita”, insostenibile dal punto di vista ambientale, e nel gioco al massacro dei “tagli”, ormai insostenibili dal punto di vista sociale.

Questa prospettiva evita anche di farci cadere nella ideologia nazionalistica o sovranista per cui la colpa delle nostre condizioni socio-economiche è da attribuire ai migranti o a categorie sociali fragili, e quindi a smontare la retorica xenofoba e razzista.

Gli italiani non possono prendersela con coloro che non erano neanche nati in quegli anni e che non erano neanche presenti in Italia, ma che solo dopo molto tempo approdarono sulle nostre coste in cerca di dignità. Ci siamo fatti mali anche da soli e con noi molti paesi del mondo. Gli squilibri economici nel mondo, alla base del “non ci sono i soldi” e “prima i nostri” sono un fenomeno di lungo corso e non il portato della crisi degli ultimi 10 anni.

Occorre rifiutare “l’ideologia dell’ordine dei conti”, facendo pagare un debito pubblico, a questo punto incolpevole per il 99% della popolazione, ai ricchi e super-ricchi con patrimoniali straordinarie ed ordinarie e reintroducendo una reale progressività e cumulabilità.  Altro che “flat tax” nella versione scandalosa ed incostituzionale in cui è stata presentata dal governo in carica!

Il recente studio “Fisco & Debito”, promosso da Cadtm Italia, dimostra come tutti i governi italiani, dal 1983 ad oggi, si sono inseriti nel solco delle riforme neo-liberiste globali, che realizzano disuguaglianze scandalose e governano con ogni mezzo il processo autoalimentandolo senza soluzione di continuità.

È evidente che fenomeni mondiali sono alla base dell’aumento del debito pubblico dei paesi vulnerabili e ciò smonta anche l’attribuzione delle responsabilità ad un’Europa che, d’altra parte, con i suoi vincoli e con le sue storture istituzionali, non indica un’uscita democratica dall’attuale capitalismo finanziario.

L’obiettivo resta il ripudio concordato del debito pubblico mondiale, almeno nella parte alimentata dalle speculazioni finanziarie, dagli interessi passivi che non dovrebbero maturare sui titoli del debito pubblico, dalle spese militari, dalle grandi opere inutili e dannose, dalle privatizzazioni di servizi essenziali, dai salvataggi bancari scandalosi, dai contratti asimmetrici come i derivati.

Questi approcci e queste ricerche possono ridefinire un discorso pubblico nuovo, un metodo di approccio sociale e politico che può sortire effetti liberatori nella direzione di una nuova giustizia sociale ed economica mondiale. Tutto ciò dimostra come gli effetti di questi processi possono essere inquadrati dentro il più ampio fenomeno corruttivo che vede da una parte la finanza, la criminalità organizzata, settori imprenditoriali collusi, la politica governativa debole e succube dei poteri forti e dall’altra un popolo che subisce  ignaro e per lo più distratto dalla “politica del nemico”, guarda caso povero, fragile, debole, solo oppure lontano e irraggiungibile.

Gli italiani tra risparmio privato e debito pubblico

Ciò che Matteo Salvini vorrebbe ignorare

di Rocco Artifoni

"Se serve, ignoreremo il tetto del 3%", è la dichiarazione di guerra ai parametri europei sul fronte dei conti pubblici del leader leghista Matteo Salvini. Il fatto che questa frase sia stata pronunciata in una conferenza stampa a Strasburgo, autorizza a pensare che non si tratti di una battuta.

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Debito Pubblico e Quarta Rivoluzione Industriale

di Angelo Grasso

Presi come siamo dalla pressante contingenza rappresentata dalla fine del Quantitative Easing da parte della BCE, fine che decreterà sicuramente l'innalzamento dello spread BTP/Bund, noi Italiani non riusciamo ad alzare lo sguardo oltre l'orizzonte temporale del brevissimo termine.

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Contro il debito. Equità fiscale, riorganizzazione della spesa e formazione civica

Sessanta miliardi all’anno d’interessi. E “liberarsi dagli interessi” non basta.
 
  mercoledì 28 marzo 2018

Caro direttore, 

grazie per l’attenzione che con il suo giornale, “Avvenire” ha dato e dà alla questione del debito pubblico. È sicuramente il problema principale del nostro Paese, da cui discendono tutti gli altri (lavoro, strutture e infrastrutture, servizi alla persona, sanità, scuola, università, ricerca... ).

Uno Stato che deve spendere oltre 60 miliardi annui per pagare gli interessi sul proprio debito è chiaro che fa fatica a elevare l’erogazione delle proprie prestazioni.

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formiche

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