Logo ARDeP

Debito

L’ipoteca del debito pubblico

Sui giovani italiani gravano due ipoteche: quella climatica e quella del debito pubblico. Se l’Italia non facesse fronte ai propri impegni climatici sarebbe un danno per tutti. Ma se l’Italia non risolve il problema del debito, questo pesa sui giovani italiani, non sui francesi o tedeschi.

Ci vorrebbe una Greta del debito pubblico. Vedo oggi una grande consapevolezza sui temi ambientali e climatici, la mobilitazione deve andare avanti e deve essere presa sempre più sul serio, ma oltre all’ipoteca climatica, sui giovani pende anche quella del debito pubblico. 

Leggi tutto...

Debito pubblico: 40 mila euro a testa

40 mila euro a testa: sarebbe il peso del debito pubblico se fosse suddiviso in parti uguali tra tutti i cittadini italiani. La Banca d’Italia ha reso noto l’ultimo dato sull’indebitamento delle amministrazioni pubbliche: 2.410 miliardi di euro (al 31 luglio 2019). Considerando che gli italiani sono poco più di 60 milioni, mediamente il debito sarebbe di 40 mila euro pro capite.

Per arginare il problema di solito si propone di ridurre l’evasione fiscale, che ogni anno sottrae alle casse pubbliche oltre 100 miliardi di euro. L’obiettivo potrebbe essere raggiunto con controlli più efficaci. Purtroppo la Corte dei Conti nell’ultimo rendiconto ha rilevato che le entrate per accertamenti sostanziali siano diminuite in un anno del 32,8%, passando da 7,3 miliardi nel 2017 a 5,6 miliardi nel 2018.

Leggi tutto...

Il debito pubblico tra infrazione europea e ricette per ridurlo

La Commissione europea ha avviato per la prima volta nella sua storia una procedura di infrazione per debito eccessivo contro il nostro Paese, perché la traiettoria del nostro debito pubblico (arrivato al 132 % del PIL, pari a 2.370 miliardi) dopo essere aumentata negli anni della crisi ed essere stata stazionaria nell’ultimo triennio, ora rischia di aumentare di nuovo.

Secondo il rapporto della Commissione Ue, in mancanza di correttivi, nel 2021 potremmo arrivare al 135% del PIL e secondo il Fondo monetario, al 2025 potremmo superare il 139%: Tutto ciò contrasta con gli accordi presi in sede europea, che prevedevano un percorso di graduale e costante discesa del debito, come chiedono anche la BCE e la Banca d’Italia. Se continuasse a crescere, il debito rischierebbe di apparire non sostenibile agli occhi degli investitori, che ogni anno debbono prestarci circa 400 miliardi, e ciò provocherebbe un aumento dei tassi d’interesse, perché per continuare a prestarci soldi gli investitori chiederebbero una remunerazione maggiore, correlata al maggior rischio, che potrebbe sfociare anche nella mancata sottoscrizione dei nostri titoli pubblici. Già un aumento dei tassi è comunque negativo, perché sottrae allo Stato risorse che potrebbero essere impiegate in modo diverso: oggi paghiamo circa 65 miliardi l’anno di interessi sul debito. Se avessimo i tassi non dico tedeschi, ma spagnoli o portoghesi, pagheremmo 20 o 30 miliardi di meno per interessi, soldi che potrebbero essere impiegati per ridurre le tasse oppure per investire di più in scuola, sanità, ricerca…

Eppure la riduzione del debito pubblico, che è l’assillo principale dei nostri partner europei perché una nostra difficoltà finanziaria potrebbe mettere in crisi la moneta comune con riflessi negativi anche negli altri Paesi dell’euro, sembra non interessare i nostri politici, che si affannano a promettere sempre nuove spese o nuove riduzioni di tasse, e i nostri concittadini che continuano a credere in quelle promesse impossibili e a votare i politici che le strombazzano. Occorrerebbe invece prendere coscienza che la riduzione del debito è un nostro interesse primario, sia per ridurre gli interessi e poter ridurre le tasse o spendere di più per i servizi pubblici, sia per proteggere i nostri risparmi che potrebbero essere compromessi da una crisi del debito pubblico. Secondo Banca d’Italia le famiglie italiane hanno patrimoni complessivi per poco meno di 10 mila miliardi (5.300 miliardi di immobili e 4.200 miliardi di attività finanziarie). Una crisi del debito, che potrebbe condurre l’Italia fuori dall’Euro verso la vecchia liretta, avrebbe come prezzo immediato una riduzione del valore dei nostri patrimoni e risparmi che gli esperti valutano tra il 30 e il 40%. Saremmo dunque tutti più poveri.

Ridurre il debito, del resto, non sarebbe doloroso. Basterebbe gestire la spesa pubblica in modo prudente e soprattutto convogliare le risorse disponibili verso la crescita economica perché per far scendere il debito occorrere che il tasso di crescita del PIL sia superiore al tasso d’interesse medio dei titoli di Stato. Oggi invece non è così, e siamo l’unico grande Paese europeo che ha questa caratteristica negativa: quest’anno il nostro PIL crescerà dello 0,1-0,2%, mentre il tasso medio sui titoli di Stato è attorno all’1,4%. In queste condizioni il debito non può che aumentare.

In attesa di ottenere l’inversione del rapporto tra crescita del PIL e tasso d’interesse sul debito, potremmo almeno dare ai nostri partner e ai mercati l’impressione che abbiamo la volontà di ridurre il debito. Potremmo per esempio convogliare alla riduzione del debito (attraverso il Fondo di ammortamento dei titoli di Stato, che andrebbe ribattezzato Fondo di riduzione del debito) tutti gli incassi straordinari dello Stato, come i proventi della lotta all’evasione fiscale, i patrimoni confiscati alla criminalità organizzata e ai corrotti, oltre ai proventi delle privatizzazioni, che andrebbero accelerate ed estese sia alle aziende nazionali e locali, sia agli immobili di Stato, Regioni e Comuni (Banca Intesa San Paolo ha presentato al governo un Piano per favorire queste cessioni a livello centrale e locale).

Se ci impegnassimo in un serio piano di promozione della crescita del PIL, se contenessimo la spesa pubblica ai livelli attuali, se dessimo al mondo l’impressione di voler davvero ridurre il debito anche con misure “psicologiche”, riusciremo ad evitare la procedura europea di infrazione e a riportare il debito sul percorso di riduzione che stiamo pericolosamente abbandonando. E staremmo tutti meglio.

 

I conti che non tornano

2.386 miliardi di euro: è l’ammontare del debito pubblico dell’Italia al 30 giugno 2019 (fonte: Banca d’Italia). Si tratta dell’ennesimo record storico, che in realtà non fa quasi più notizia poiché probabilmente è destinato ad essere superato a breve.

Se si confronta la cifra del debito attuale con quella del giugno 2018, c’è da essere assai preoccupati. Infatti, nel giugno dello scorso anno il debito era arrivato a 2.330 miliardi: il che significa che in 12 mesi (che sostanzialmente coincidono con il tempo in cui hanno governato M5S e Lega) il debito è aumentato di 56 miliardi di euro.

Leggi tutto...

Ridurre il debito si deve e si può a cominciare da… Chieri

Il valore del debito pubblico italiano è una cifra a tredici caratteri, difficile da visualizzare e anche da leggere, tanto è grande. Sul sito dell’ ARDEP questo numero si aggiorna ogni tre secondi e rappresenta la stima dello stok del debito nazionale, basata sui rapporti mensili della Banca d’Italia.
La nostra Associazione è impegnata da anni a sensibilizzare l’opinione pubblica su questa emergenza, che minaccia il nostro futuro e quello dei nostri figli e nipoti e che incide direttamente sulla nostra vita e sulle nostre scelte.

Il debito pubblico rappresenta il totale delle passività di tutte le Amministrazioni Pubbliche- non solo dello Stato – ovvero dei crediti che soggetti diversi – famiglie, imprese, banche, anche estere - vantano nei confronti di esse. Queste passività servono a finanziare il fabbisogno finanziario della pubblica amministrazione affinchè essa possa fronteggiare il costo dei servizi e degli investimenti pubblici non coperti dal gettito delle imposte e tasse. Il bilancio dello Stato da anni è in attivo (avanzo primario) ma gli interessi sul debito non solo ci sottraggono questo “attivo” ma creano un deficit ,“passivo”, che deve essere coperto con altro debito i cui interessi sottraggono ulteriori risorse al bilancio pubblico.

Questa spirale ha fatto crescere e continua a far crescere - 2100 euro ogni secondo - il nostro debito che oggi ammonta a 2.410 miliardi di euro, equivale a circa 36 mila euro per ogni italiano, compresi i neonati e al 133% del prodotto interno lordo, valore quest’ultimo che rappresenta la ricchezza che il nostro paese riesce a produrre annualmente.

Perché bisogna ridurre il debito pubblico? Non solo perché l’Italia, come gli altri Paesi che appartengono all’area dell’Euro si è impegnata a rispettare determinati criteri di buona amministrazione, ma anche per altre ragioni, che ricordo in breve:

  • l’economia italiana stenta a crescere e l’aumento degli interessi che crescono con l’aumento del debito, rende più difficile finanziare la spesa pubblica;
  • l’Italia, con il suo debito molto alto è più esposta di altri paesi a turbolenze sui mercati quando aumentano i rischi di crisi finanziarie, politiche e tecnologiche, ma anche di crisi di fiducia nei “fondamentali” del Paese.
  • l’aumento dei tassi di interesse rende il servizio del debito più oneroso e debbono essere sottratte al bilancio dello stato ulteriori risorse prima destinate a servizi per i cittadini.

In casi limite di interessi molto alti è necessario un intervento da parte di altri Paesi o istituzioni internazionali, come il Fondo Monetario Internazionali. Le conseguenze di questo intervento sono disastrose e vengono pagate da tutti i cittadini per evitare il fallimento dello Stato perché ad essere più penalizzati sono proprio loro in qualità di creditori interni . Se lo Stato non è più in grado di pagare i propri debiti, i creditori perderanno quanto è loro dovuto e se i creditori sono anche cittadini essi saranno penalizzati sia come risparmiatori, sia come contribuenti.

Se un debitore non paga sarà molto difficile che trovi chi gli presta ancora soldi, salvo pagare interessi molto alti. Lo Stato sarà costretto quindi a ridurre le proprie spese – sanità, scuola, ambiente, etc. - oppure ad aumentare il prelievo fiscale.

Ma è proprio impossibile alleggerire questo “macigno”, del cui peso eccessivo pare che molti, tra cui anche chi si dedica all’amministrazione del bene comune, non siano così consapevoli né preoccupati? Il debito pubblico si deve e si può ridurre. L’ ARDEP ha nel corso degli anni suggerito molte ricette ma nessuna di queste ha potuto essere messa concretamente in pratica per far comprendere i tangibili vantaggi che derivano dalla riduzione del debito.

Un’occasione utile si è presentata nel corso del mio mandato di amministratore pubblico , svolto nell’ultimo quinquennio in una delle più belle cittadine del Piemonte: Chieri. Un’esperienza amministrativa i cui risultati positivi hanno avuto un riconoscimento anche dalla recente competizione elettorale, che ha visto confermare al governo della città la coalizione politica uscente.

All’inizio del mandato lo stok del debito comunale, cherappresenta una piccola parte del debito pubblico nazionale insieme a quello degli oltre ottomila enti locali e regioni era prossimo alla soglia dei 20 milioni di Euro. Alla fine del mandato lo stesso debito ammontava a poco più di 5 milioni. Se rapportato al valore economico della produzione (componenti positivi della gestione del Conto Economico 2018) si è ridotto da oltre l’80% al 25%.Un risultato che per la sua bontà ha sorpreso favorevolmente anche le forze politiche di opposizione al governo della città.

È un dato importante, ma come ci insegnano i nostri economisti, da solo significa poco. Si può ridurre il debito se si aumentano le imposte e tasse ai cittadini, oppure se si riducono i servizi e non si avviano investimenti pubblici.

Non è stato il caso in questione: una rigorosa revisione della spesa ha permesso di neutralizzare i significativi tagli di risorse praticati da parte dello Stato nei confronti degli enti locali nel 2015: per la nostra città si trattava di ridurre circa il 6 per cento della spesa corrente, ovvero quella spesa che sostiene la prestazione continua dei servizi pubblici ai cittadini. Una seconda azione ha riguardato il controllo del gettito tributario attraverso una puntuale verifica delle banche dati comunali: nel quinquennio sono stati recuperati oltre 4 milioni di imposte e tasse evase. L’allargamento della base imponibile ha permesso di ridurre su alcuni tributi, come la TARI, il prelievo e di sostenere con maggiori agevolazioni i redditi più bassi. La crescita del gettito fiscale sostenuta anche da attive politiche sul lavoro e dall’avvio di importanti investimenti locali ha permesso di realizzare risparmi sulla gestione utilizzati per finanziare le opere pubbliche senza ricorrere a nuovo debito.

Parte di questi risparmi, non impiegabili a causa dei limiti imposti dagli equilibri di finanza pubblica nazionali sono stati utilizzati per rimborsare anticipatamente mutui e prestiti obbligazionari, contribuendo in tal modo a ridurre in modo sensibile e più veloce lo stock del debito comunale

La riduzione del debito ha abbattuto del 70% il valore degli interessi passivi annualmente corrisposti alle banche liberando risorse sia per finanziare nuovi e maggiori servizi pubblici, sia per finanziare nuovi investimenti. Il valore di questi ultimi ha raggiunto una quota record rispetto ai precedenti quinquenni amministrativi: 32 milioni di Euro contro i 20 del precedente mandato. Il dato più importante riguarda il loro finanziamento avvenuto con risorse proprie del Comune e con i risparmi della gestione, senza la necessità di ricorrere a prestiti onerosi.

Occorre ricordare insieme a questi dati positivi anche le criticità che si sono manifestate nel periodo amministrativo, superate solo con un grande impegno e una forte coesione degli amministratori , uniti ad un clima di fiducia e di collaborazione sviluppato fin dall’inizio con i dipendenti del Comune. La carenza di risorse umane, dovuta all’impossibilità di sostituire il personale cessato dal servizio e il blocco dei rinnovi contrattuali hanno rappresentato un forte limite all’azione amministrativa e alla realizzazione del programma; l’improvvisa crisi finanziaria della società, totalmente partecipata dal Comune, che gestiva le farmacie comunali, indotta da comportamenti illeciti di un collaboratore ha provocato l’ammanco di oltre un milione di euro e ha comportato la necessità di ricapitalizzare la società con uno sforzo finanziario significativo per le finanze del Comune. Diseducativi sono stati i recenti condoni e le cancellazioni di cartelle per la riscossione coattiva dei debiti verso la città: oltre 2,4 milioni di crediti del Comune affidati a Equitalia (soprattutto sanzioni al codice della strada e mancato pagamento di tariffe per i servizi pubblici come mensa e asili nido) sono stati annullati due mesi fa con un decreto del Governo.

Nonostante i suddetti limiti il quinquennio si è chiuso con una “dote” importante: oltre 14 milioni di fondo cassa che sono passati dalle mani del sindaco uscente a quelle del sindaco entrante, come prevede la legge.

Con un debito prossimo al suo azzeramento, che potrebbe avvenire entro la fine del mandato appena iniziato se il percorso virtuoso verrà mantenuto dalla nuova amministrazione , esistono i presupposti per procedere ad una diminuzione della pressione fiscale complessiva del Comune.

Ridurre il debito si può, e l’esperienza raccontata dimostra che i vantaggi sono evidenti . E’solo un esempio, ma significativo di come il buon governo delle risorse che sono di tutti i cittadini possa produrre importanti risultati a beneficio del bene comune, riducendo un po’ il peso di quel “macigno” che ognuno di noi porta sulle proprie spalle.

Giugno 2019
Anna Paschero

 

formiche

banner ARDeP 2016 compressor