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Creato: Mercoledì, 21 Settembre 2022 00:00
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Scritto da Rocco Artifoni
«La democrazia è il potere di un popolo informato» (Alexis de Tocqueville). In vista delle elezioni del 25 settembre, il dubbio sorge spontaneo: gli italiani sono informati? Stando ad una ricerca realizzata da IPSOS qualche anno fa, tra i 14 principali Paesi dell’OCSE l’Italia era al primo posto per “indice di ignoranza” (seguiti dagli USA).
Per decidere a chi dare il voto si potrebbero leggere con attenzione i programmi elettorali dei partiti in lista: quasi 700 pagine in tutto. Ma ci vuole molto tempo e non è un esercizio semplice. I programmi sono infarciti di promesse che non hanno riscontri. Quasi sempre si tagliano le tasse e si aumentano le spese, senza spiegare dove si vanno a prendere le risorse necessarie. Inoltre, chi ci garantisce che quanto è scritto nel programma elettorale venga poi realizzato e non diventi la solita promessa tradita?
Proviamo ad approcciarci al voto con un altro metodo: analizzare i principali parametri della situazione economica e finanziaria, base fondamentale per qualsiasi proposta di politica economica non campata per aria.
Ecco una fotografia sintetica dell’Italia:
- Grande disuguaglianza economica: tra i primi posti in Europa nell’indice Gini che misura la differenza di distribuzione delle ricchezze.
- Sistema tributario iniquo per diverse ragioni: ad esempio con la vigente flat tax un lavoratore autonomo paga meno della metà delle imposte di un lavoratore dipendente.
- Enorme debito pubblico: 2'770 miliardi di euro (in rapporto al Prodotto Interno Lordo l’Italia è al secondo posto in Europa), con circa 60 miliardi di euro (in aumento) spesi ogni anno per pagare gli interessi.
- Scandalosa evasione fiscale: oltre 100 miliardi di euro ogni anno, con un’economia sommersa che supera i 200 miliardi di euro.
- Notevole ricchezza privata: oltre 6.000 miliardi di euro in immobili e 5.256 miliardi di euro di liquidità (con un aumento di 1.700 miliardi nell’ultimo decennio): sono quasi 200.000 euro a testa in media.
È facile comprendere come questi cinque punti elencati sono strettamente connessi. L’evasione fiscale aumenta la ricchezza privata e il debito pubblico. L’attuale sistema tributario favorisce alcuni redditi a scapito di altri e di conseguenza aumenta le disuguaglianze. L’elevato debito pubblico gravato dagli interessi rende difficili le politiche redistributive per diminuire la povertà.
Di fronte a questa situazione, che cosa ci si potrebbe aspettare da un serio e realistico programma di politica economica? Ecco alcune proposte che potrebbero cambiare radicalmente lo scenario italiano:
a) Verificare la congruità fra redditi e patrimoni, utilizzando massicciamente la banca dati dell’anagrafe dei rapporti finanziari:
- tutti i beni mobili e immobili non giustificabili dovrebbero essere sottoposti a confisca.
- Ampliare il conflitto di interessi tra fornitore e cliente, estendendo le detrazioni fiscali sui servizi ricevuti dalle categorie di contribuenti più propensi all’evasione.
- Ridurre al minimo l’uso del denaro contante, incentivando le forme tracciabili di pagamento.
- Rafforzare lo scambio di informazioni fra Stati per ridurre il trasferimento illegale di redditi all’estero, soprattutto verso i paradisi fiscali.
- Utilizzare il cumulo di tutti i redditi percepiti da ogni contribuente come base imponibile per il pagamento delle imposte.
- Ridisegnare gli scaglioni e le aliquote delle imposte sui redditi delle persone fisiche e giuridiche in modo da ripristinare una più marcata progressività, adottando come metodo di calcolo una funzione matematica continua (come ad esempio si fa in Germania).
- Individuare l’ISEE come strumento per la determinazione della reale capacità contributiva di ogni persona fisica, rendendo la dichiarazione ISEE obbligatoria per tutti.
Rintracciare nei programmi elettorali dei partiti proposte analoghe, fondate sull’equità e orientate verso la giustizia sociale, è compito assai arduo. Molto più facile trovare promesse che vanno nella direzione opposta. Ecco alcuni esempi: ampliamento della flat tax da 65'000 a 100'000 euro (Lega e centrodestra); innalzamento del limite dell’uso del denaro contante fino a 10'000 euro (Forza Italia); incremento della spesa pubblica con l’aumento del debito pubblico (Italexit); ecc.
Pier Paolo Pasolini dell’Italia diceva “che i suoi vizi sono ciclici, si ripetono incarnati da uomini diversi con lo stesso cinismo, la medesima indifferenza per l’etica, con l’identica allergia alla coerenza”. Come cantava Franco Battiato: “Povera patria!”.
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Creato: Giovedì, 28 Aprile 2022 00:00
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Scritto da Luciano Corradini
La prestigiosa rivista Limes ha come titolo dell’ultimo numero “La fine della pace”. Diversi giornali dicono che siamo in guerra e che non sappiamo come e quando ne usciremo. Uno studente che ha chiesto di parlare della guerra in corso fra Russia e Ucraina si è sentito rispondere: “non parliamo di cose tristi”. Come se la scuola potesse distrarsi o rimuovere il problema più lacerante della storia umana e la frustrazione antropologica che consegue la difficoltà di sostituire al "mors tua vita mea" il "vita tua vita mea".
All'elaborazione di una cultura di pace, oltre alla famiglia, è chiamata a contribuire la scuola, insieme alle associazioni giovanili, ai mass media, alle chiese e a tutti gli enti pubblici e privati la cui attività può incidere, direttamente o indirettamente, sulla mentalità, sulla qualità dei rapporti e sul senso complessivo dello stare e del crescere insieme.
La scuola, in virtù della sua capillare estensione, delle sue potenzialità culturali e relazionali e delle sue specifiche difficoltà congiunturali, è al centro di contrastanti pressioni, volte da un lato ad aprirla a tutto ciò che sia ritenuto socialmente importante e dall'altro a chiuderla a tutto ciò che non sia riconducibile a un compito istruttivo restrittivamente interpretato.
Anche ammettendo che la scuola abbia suoi compiti prioritari da affrontare, in cui nessun altro può sostituirla, non si può negare che il vero problema è quello di affrontarli in modo deontologicamente corretto, utilizzando le norme e i programmi vigenti per affrontare questioni strategicamente importanti e significative per i singoli ragazzi e per la società d'oggi e di domani.
Se volessimo raccogliere più precisamente tutto ciò che da anni bussa alle porte della scuola, con crescente consapevolezza delle implicazioni e delle connessioni con la vita reale, per trovarvi uno spazio curricolare o meglio un'attenzione "intelligente" di tipo interstiziale o di tipo trasversale, dovremmo parlare di educazione ai diritti umani, alla pace, allo sviluppo, alla salute, all’ambiente.
Questa problematica è soggetta in tutto il mondo ad approfondimenti, revisioni, accorpamenti sotto l'uno o l'altro termine, ritenuto più comprensivo o più strategico. Per la sua densità valoriale può alimentare conflitti, occupare spazi eccessivi nell'attività scolastica, degenerare nella chiacchiera, nel moralismo, nella faziosità.
Di qui le comprensibili cautele delle persone serie; ma di qui anche gli alibi di chi non vuole impegnarsi a pensare e a rinnovare una scuola, la cui auspicata migliore produttività non può comunque prescindere dalle motivazioni e dalle prospettive dell'apprendimento.
La pace, intesa come "nucleo pesante", in cui si addensano tutti i significati positivi della vita personale e sociale, non può considerarsi un tema estraneo, né di diritto né di fatto, alla vita scolastica. Anche quando non era esplicitamente tematizzata come finalità da perseguire da parte di tutti, in particolare degli educatori, di fatto la pace occupava un suo spazio nella letteratura, nella storia, nella filosofia, nel diritto, nella geografia, nell'economia e finalmente nell'educazione civica, che nella scuola ha avuto però sempre uno statuto precario. Oggi abbiamo la legge 92/2019 sull’educazione civica, che fa perno sulla Costituzione italiana, in cui sono stati “aggiornati” nel febbraio scorso gli artt. 9 e 41. Non è poco.
Nota: articolo uscito sul Giornale di Brescia, il 19/4/2022.
Cerca strade percorribili per orientarsi di fronte al grande male della guerra: cioè per cercare di capirlo e di viverlo in modo non superficiale e non distruttivo, ma con l'impegno a superarlo a tutti i livelli in una prospettiva non violenta. Ciò che è stato possibile a certe persone, in certi momenti, può diventare prima o poi una conquista definitiva o almeno duratura. Frattanto è più importante capire empaticamente, rispettare, aiutare, agire in termini di solidarietà che odiare chi non la pensa come noi.