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Etica e politica

La memoria corta di Matteo Salvini

“Debito pubblico, è record: a gennaio è cresciuto di 31 miliardi di euro, siamo ormai arrivati a 2.166 miliardi di euro. Chi pagherà? Purtroppo pagheranno i nostri figli...”. Queste parole non sono - come si potrebbe pensare - di Luciano Corradini, fondatore dell’ Associazione per la riduzione del debito pubblico (ARDeP). Sono invece affermazioni di Matteo Salvini del 13 marzo 2015: si possono leggere ancora oggi nella pagina Facebook del leader della Lega.

Senza andare così lontani nel tempo, si può anche rileggere una dichiarazione del leader leghista del 29 settembre 2018: “dopo anni di manovre economiche imposte dall’Europa che hanno fatto esplodere il debito pubblico (giunto ai suoi massimi storici) finalmente si cambia rotta”. Ma il 13 maggio 2019 nella trasmissione “Porta a Porta” il ministro degli Interni ha dichiarato che “sforare il 3% (del rapporto deficit/Pil) non solo si può, si deve”. 

Il 20 giugno 2019 in un'intervista al Corriere, Matteo Salvini ha parlato di “un taglio delle tasse di almeno 10 miliardi, anzi facciamo 15”, altrimenti “me ne vado”. Anche in questo caso il leader della Lega si smentisce da solo. Il 16 gennaio 2018 in Facebook ha scritto: <<L’Italia ha il terzo debito pubblico del mondo, non può permettersi una riforma fiscale>>. Efficace analisi di Armando Siri che sottoscrivo!”.

Alle obiezioni di chi ha fatto presente che non c’è la copertura finanziaria per effettuare questi tagli e di conseguenza si aumenterebbe il debito pubblico, il leader della Lega ha recentemente replicato in modo paradossale: “Il futuro, dei nostri figli e dell'Italia, viene prima dei vincoli decisi chissà dove". Tralasciando che quei vincoli sono stati decisi nel 1992 a Maastricht anche dall’Italia, a quanto pare oggi il futuro dei nostri figli non è più minacciato dal debito (come nel 2015), ma da chi vuole limitarlo. Siamo di fronte ad un vero cambio di rotta.

Il cavallo di battaglia di Matteo Salvini per effettuare il taglio delle tasse, com’è noto, è la flat tax. In Italia sembra che la tassa piatta sia una formula rivoluzionaria, la panacea di tutti i mali tributari. Si tralascia però di ricordare che molti dei Paesi che hanno introdotto la flat tax sono stati poi costretti ad una retromarcia. La Serbia l’ha abolita nel 2010, la Repubblica Ceca e la Slovacchia nel 2013, l’Albania nel 2014 e la Lettonia nel 2018. Tutti questi Stati sono passati a scaglioni con diverse aliquote fiscali, perché con la flat tax le entrate tributarie erano diventate insufficienti a finanziare la spesa pubblica: scuole, ospedali, strade, pensioni, ecc.

L’attuale ministro degli Interni ha sostenuto più volte che la tassa piatta porterebbe anche ad una diminuzione dell’evasione fiscale. Ma nell’ultimo “Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica”, pubblicato il 29 maggio 2019, la Corte dei Conti ha scritto: “non può essere ignorato come l’estensione del regime forfetario fino a 65.000 euro di ricavi e compensi introdotto dal gennaio del 2019, oltre agli altri effetti negativi che anche la Corte ha nel recente passato sottolineato, rechi un vulnus al sistema di contrasto dell’evasione incentrato sulla fatturazione elettronica per almeno tre ordini di ragioni. Anzitutto, per effetto dell’esonero dalla fatturazione elettronica attiva dei soggetti in regime forfetario si è determinata una vasta zona d’ombra nel sistema appena avviato, data la numerosità dei contribuenti interessati, basti pensare che, secondo i datti diffusi dal MEF, il 53 per cento delle nuove partite IVA sceglie il regime forfetario e che il numero di soggetti ricompresi in tale regime ha ormai raggiunto quasi i due milioni e si avvia a costituire la parte maggioritaria di coloro che svolgono attività indipendenti in forma individuale. In secondo luogo, perché l’obiettivo di collocarsi e permanere entro il limite stabilito per il regime forfetario potrebbe determinare un ulteriore incentivo al nero o, comunque, indurre a un rinvio del momento di contabilizzazione di ricavi e compensi. In terzo luogo, perché per il soggetto rientrante in tale regime verrebbe meno l’interesse a documentare le componenti passive del reddito, beneficiando egli di un abbattimento forfetario che prescinde dall’effettività dell’onere sostenuto”. 

Di fronte alla mancanza di memoria, alle clamorose capovolte e ai proclami infondati torna con insistenza alla mente una frase di Robert L. Stevenson: “La politica è forse l’unica professione per la quale non si ritiene necessaria alcuna preparazione”…

 

Appunti per una riscossa civica. Un contributo a capire e a costruire il futuro

Ci salveremo. Questo è il titolo di un libro di Ferruccio De Bortoli, uscito pochi giorni prima di domenica 26 maggio, giorno in cui abbiamo votato per il rinnovo del Parlamento Europeo. Alcuni commentatori hanno detto che occorrerebbe mettere un punto interrogativo a questo titolo, che pare troppo ottimistico. Certo, il prestigioso giornalista non è un cultore della famosa “Legge di Murphy”, che suona così: “Se qualcosa può andar male, lo farà”.

Io mi sono chiesto però, prima di schierarmi fra gli ottimisti e i pessimisti, qual è il soggetto di questo verbo. Noi chi? Noi italiani, noi europei, noi occidentali, noi bianchi, noi cristiani, noi esseri umani, noi esseri viventi sul Pianeta? Si potrebbe continuare, selezionando coloro che ci interessano più da vicino.

Il pronome noi è il plurale di io, ed è la parola più esclusiva, ma anche la più inclusiva che ci sia nel nostro vocabolario. E’ un pronome personale, maschile e femminile, che si estende da me a tutti/e coloro che io prendo in considerazione col pensiero, con l’affettività, in relazione all’orizzonte che scelgo parlando e scrivendo. Nelle prime pagine del libro di De Bortoli troviamo questa dedica: “Ai tanti che ogni giorno fanno qualcosa per gli altri. Il loro esempio è il nostro futuro”. La prima cerchia del noi è qui identificata non da un numero, ma da un indeterminato tanti, tutti coloro che ci indicano la strada per rendere possibile un futuro comune. Il “nostro” futuro dipende dalla capacità di trarre ispirazione da coloro che sanno fare qualcosa per gli altri. Questa seconda cerchia del noi si estende tanto quanto si estendono la nostra cultura, la nostra sensibilità, la nostra responsabilità e la nostra capacità d’iniziativa e di servizio, sull’esempio di coloro che già “fanno”.

Fare per gli altri è una condizione per salvare anche noi, dato che siamo in qualche modo interdipendenti, legati a un comune destino. Gli altri sono qui intesi non come estranei da cui difenderci o di cui servirci, ma come soggetti per i quali impegnarci, convincendoli a nostra volta, col nostro esempio, a partecipare alla comune salvezza. Al perentorio titolo Ci salveremo, si aggiunge così, nel risvolto di copertina, un punto interrogativo, che fa del futuro un condizionale, cioè una possibilità che dipende in gran parte da noi, cittadini italiani, titolari di diritti e doveri costituzionali. Lo chiarisce il sottotitolo, Appunti per una riscossa civica. Dedica un capitolo anche all’educazione civica, ritenendo che anche attraverso la scuola si debba “ri-scuotere” chi non si sente abbastanza scosso e chiamato in causa dagli eventi drammatici e inquietanti del passato e del presente, e dagli esempi e dalle opportunità di cui disponiamo. Tra quelli che “fanno”, segnala in particolare i volontari. Lui stesso, il Ferruccio nazionale, è presidente del VIDAS, associazione che assiste i malati terminali.

Concludo anch’io con la citazione di una “bella notizia” data dal Corriere della Sera il 29.1.1994: “La Giuria del Corriere segnala un’associazione per ridurre il debito pubblico. Mobilitiamoci tutti contro la bancarotta dello Stato”. Si trattava dell’ARDeP, che non è sfumata come un sogno d’estate, ma che la settimana scorsa ha rinnovato la quinta volta la sua presidenza, il suo sito (www.ardep.it), il programma di ricerca e di formazione, dopo 25 anni d’impegno. Il debito ha continuato a crescere, come l’inquinamento. Non è una buona ragione per minimizzarne il pericolo o per lasciar perdere, ricorrendo a palliativi. Occorre intensificarne la conoscenza, le dinamiche, le strade per ridurre il crescente pericolo e per “sortirne insieme”, nonni e nipoti, cittadini di questa sonnacchiosa Europa, che ha osato definirsi “sede privilegiata della speranza umana”.

Giugno 2019
Luciano Corradini

Il discorso intero del Pontefice sulla figura di don Lorenzo Milani

Cari fratelli e sorelle,

sono venuto a Barbiana per rendere omaggio alla memoria di un sacerdote che ha testimoniato come nel dono di sé a Cristo si incontrano i fratelli nelle loro necessità e li si serve, perché sia difesa e promossa la loro dignità di persone, con la stessa donazione di sé che Gesù ci ha mostrato, fino alla croce.

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La “mancetta” di Matteo Renzi

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Con il nuovo anno scolastico a tutti i diciottenni è arrivata la “mancetta” di Matteo Renzi: un bonus di 500 euro per acquistare, tramite la “18app” da scaricare sullo smartphone, beni e servizi collegati alla cultura, come libri, ingressi ai musei, biglietti per cinema, teatri e concerti.

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