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Fisco

Davos rilancia una fiaba: i super ricchi chiedono di pagare più tasse

A un solo giorno dall’inizio del World Economic Forum, e subito dopo la pubblicazione di OxFam dei risultati della ricerca sull’aumento esponenziale delle disuguaglianze, sociali ed economiche dovute alla pandemia, è accaduto un fatto che ha provocato sincero stupore tra gli abitanti del pianeta Terra. La notizia nuda e cruda è questa: 102 super ricchi hanno inviato un appello perentorio chiedendo di pagare più tasse. “Tax we trust” sostengono i sottoscrittori con un linguaggio secco che per la natura a dir poco singolare del messaggio sa molto di fantascienza; un po’ come quella dell’alieno nel famoso film “Ultimatum alla Terra” degli anni Cinquanta, che pretendeva dai potenti lo stop a guerre e a distruzioni.

Tra i firmatari non figura alcun italiano. Un’assenza avvolta nel mistero, perché non si è a conoscenza se si tratta di scelta deliberata o se in Italia non vi è chi abbia o voglia mostrare i requisiti per accedere al club dei Paperoni. Considerati stile e discrezione dell’italica fauna di milionari, propendiamo per il secondo elemento del combinato disposto (la discrezione), anche sulla scorta dei dati (ufficiosi) di cui diremo al fondo.

Ma chi sono questi signori nababbi? Raccolti sotto l’acronimo “Patriotic Millionaires” devono possedere almeno cinque milioni di dollari in patrimonio o avere una rendita di un milione di dollari all’anno. Nel gruppo, nato negli Stati Uniti nel 2010, ci sono finanziatori del Partito Democratico e del Partito Repubblicano, ma entrambi sostengono una riforma del finanziamento elettorale e quindi la fine dell’influenza del danaro sulla politica.

Ma, attenzione ad accelerare i giudizi sui valori che proclamano. Infatti, i signori si sono finora guardati dall’appoggiare le proposte di riforma fiscale proposte dai Democratici di un’aliquota fiscale del 70% sui redditi che superano i 10 milioni di dollari all’anno e di una tassa annuale del 2% sui patrimoni superiori a 50 milioni di dollari. Tuttavia si battono per l”equità fiscale” e per ridurre le disuguaglianze attraverso un salario minimo più elevato.

Le loro posizioni, per la fascia sociale che rappresentano, creano tuttavia stupore e viene da etichettarli come un club di aristocratici “comunisti” dall’accentuata stravaganza. Anche se, sino ad oggi, non erano mai usciti allo scoperto, né sollecitato i leader politici del mondo, oggi riuniti a Davos, gli stessi ai quali hanno rivolto il loro appello.

Insomma, una sorta di lobby che proclama una governance di tutti i cittadini americani, trasversale e alternativa ai partiti politici: un partito dei ricchi che critica l’attacco alla ricchezza da parte dell’OxFam (non è sbagliato condannare le disuguaglianze, ma è sbagliato condannare la ricchezza) e l’incapacità della stessa organizzazione di proporre soluzioni concrete.

Al tempo stesso, è una lobby che si spinge a richiedere credito tra i cittadini animata dalla loro filosofia che somma tre semplici parole – “semplice, essenziale, rivoluzionaria” – per contrastare chi attualmente detiene il potere politico.

La risposta del portavoce del World Economic Forum non si è fatta attendere: un’imposta sul patrimonio progressiva, che parte dal 2% per chi ha più di 5 milioni di dollari e sale al 5% per i miliardari, come esiste in Svizzera, dove ha sede l’organizzazione, potrebbe essere un buon modello da esportare in altri paesi. Essa altresì potrebbe raccogliere oltre 2'500 miliardi, abbastanza a livello globale per far uscire oltre 2 miliardi di persone fuori dalla povertà e garantire assistenza sanitaria e protezione sociale alle persone che vivono nei paesi a basso reddito.

Da fonti non ufficiali in Italia sono 400 mila le persone con un patrimonio che va oltre il milione di dollari (circa l’1% dell’intera popolazione) e che detengono il 41,1% delle sostanze finanziarie nazionali. Di queste, 1'700 riescono a superare i 100 milioni di dollari di capitale privato. Solo considerando questi 1'700 contribuenti, una ipotetica patrimoniale, così come sopra proposta, potrebbe ristorare immediatamente gli 8 miliardi di maggior debito serviti per ridurre la pressione fiscale con la Legge di Bilancio 2022.

Ma in Italia non è ancora nato il Club dei “Patrioti Milionari” – forse perché il concetto di Patria è arrivato tardi nel lessico degli italiani (“Ventennio” funesto a parte) – per appoggiare questa misura di equità fiscale, né il governo ha pensato di istituirla nella legge di Bilancio 2022. Probabilmente, la causa andrebbe ricercata nell’assenza di appelli dedicati …

Fonte: https://www.laportadivetro.org/davos-rilancia-una-fiaba-i-super-ricchi-chiedono-di-pagare-piu-tasse/

 

Fisco: in Italia c’è sempre chi è più uguale di altri …

Con la legge di bilancio 2022 – attualmente all’esame della Camera dei Deputati e su cui il Governo ha posto la fiducia – gli scaglioni e aliquote da cinque sono diventati quattro, con la prospettiva di diventare tre nell’anno 2023. Questa misura avrebbe dovuto rappresentare un primo passo nella direzione di una riforma fiscale più organica, capace di eliminare squilibri e disequità attualmente presenti in un sistema più volte rimaneggiato e tutt’altro che trasparente.

Ma oltre che a rappresentare l’avvio di una riforma più strutturale e organica del fisco, il provvedimento si è posto l’obiettivo di ridurre la pressione fiscale sul lavoro agendo sui redditi medi con la finalità di indurre maggiori consumi e vantaggi per l’economia in generale. Sono state così ridotte rispettivamente di 2 e di 3 punti percentuali le aliquote del secondo e terzo scaglione, e sono stati eliminati il quarto scaglione ed aliquota, riducendo il limite massimo di reddito dell’ultimo scaglione e mantenendo invariata la relativa aliquota del 43% che viene applicata a tutti i redditi superiori ai 50'000 Euro.

Il risultato è stato una ulteriore riduzione della progressività dell’imposta a cui si è cercato di porre rimedio agendo con nuove detrazioni d’imposta. L’emendamento governativo all’articolo 2 del disegno di legge di bilancio ha stabilito nuove detrazioni non solo a favore dei lavoratori dipendenti, ma anche di pensionati e percettori di altri redditi, tra i quali le indennità e gettoni di presenza corrisposti ai parlamentari nazionali ed europei e a chi svolge pubbliche funzioni in enti pubblici.

Come nel Monopoli, però, la legge di bilancio dà l’impressione della carta che recita “tre passi indietro con tanti auguri…”. Indietro, ovviamente, rispetto al passato, peraltro remoto: anno di grazia 1974. Infatti, con la grande riforma fiscale introdotta quell’anno, fu data, finalmente, attuazione all’art. 53 della nostra Costituzione che afferma due principi fondamentali dal punto di vista tributario: la capacità contributiva e la progressività dell’imposizione fiscale. Il primo principio si riferisce alla possibilità economica del cittadino, richiamando gli articoli 2 e 3 che affermano il principio di solidarietà e uguaglianza di tutti i cittadini nello Stato. Il secondo principio afferma che l’imposta che i cittadini sono tenuti a versare aumenta con il crescere del loro reddito. Tale principio è rilevante perché grava l’imposta sulle classi sociali più abbienti in modo tale da poter soccorrere e sostenere le classi sociali in difficoltà, garantendo diritti e servizi sociali fondamentali come la pubblica istruzione, l’assistenza sanitaria, la previdenza sociale; diritti e servizi sui quali si basa l’esistenza stessa dello Stato.

La riforma del 1974, come già affermato più volte su questo sito, ebbe scarsa fortuna perché nel tempo venne profondamente cambiata; il principio della progressività, garantito da 32 aliquote con altrettanti scaglioni di reddito, venne mortificato via via con la riduzione progressiva del numero delle aliquote e degli scaglioni, fino a prevederne, attualmente, cinque. Non solo, le aliquote più basse vennero aumentate dal 10 al 23% e quelle più alte vennero diminuite dal 72 al 43%, provocando una compressione significativa del principio della progressività dell’imposta ma anche una maggiore imposizione fiscale sui redditi più bassi a beneficio di quelli più alti.

Per correttezza, è d’obbligo sottolineare che l’art. 53 della Costituzione non ha fissato alcun criterio di applicazione del principio della progressività: un’imposta è progressiva se ha più di un’aliquota, perché altrimenti diventa proporzionale. Ma, come si è visto, diventa progressivo anche un sistema con poche aliquote e molte detrazioni di imposta. E paradossalmente, la progressività può essere rappresentata da una sola aliquota con molte detrazioni d’imposta. Oppure, come avviene in Germania, il sistema è progressivo utilizzando un algoritmo che determina una imposta personalizzata.

In Italia c’è chi ha studiato un algoritmo che introduce una funzione continua che determina l’aliquota IRPEF eliminando le detrazioni d’imposta (queste ultime da sostituire con erogazioni ove necessarie per mantenere un sostegno diretto al reddito 1. E c’è l’Associazione ARDeP 2 che ha elaborato una propria proposta di riforma fiscale dove il numero degli scaglioni e delle aliquote viene aumentato, prevedendo una no tax area fissa di 10'000 € uguale per tutti, a prescindere dal reddito percepito, che assorbe tutte le più svariate deduzioni oggi esistenti, nonché un’imposta “negativa” per quei redditi che necessitano di una integrazione da parte dello Stato. Ciò che conta è si il risultato, ma anche la trasparenza dell’intero sistema affinché ciascuno abbia contezza di quale sia il proprio sforzo nel contribuire alla spesa pubblica.

Dei benefici in termini di sgravi fiscali previsti dalla legge di bilancio 2022 fruiranno tutti, anche i redditi milionari per 270 euro all’anno, a discapito del debito nazionale, che aumenterà di 8 miliardi di Euro. Da alcune simulazioni degli effetti che produrranno le nuove detrazioni emergono anche alcuni dati incongruenti, tra cui alcune riduzioni d’imposta con il crescere del reddito. E, confrontando le diverse detrazioni previste a seconda dello “status” del contribuente (lavoratore dipendente, pensionato, percettore di redditi diversi) si evidenziano delle differenze significative di imposizione fiscale rispetto al medesimo reddito. Sicché un lavoratore dipendente per un reddito di 26'000 € paga un’imposta di 4'042 Euro mentre un pensionato per lo stesso reddito ne paga 5'321 € e un percettore di redditi diversi 5'632 €.

A ciò si aggiunge il fatto che ci saranno contribuenti che continueranno a pagare più di altri i presidi e le spese sanitarie per effetto dell’incapienza dell’imposta, che non permette detrazioni per queste e altre spese. Non si tratta di certo di contribuenti che possiedono redditi elevati. Peraltro il principio dell’equità orizzontale è stato disatteso da anni e continua ad esserlo ancora oggi anche con l’applicazione di cedolari secche e di aliquote proporzionali per i redditi immobiliari e di capitale; questi ultimi nell’intenzione annunciata dal legislatore dovrebbero venire maggiormente favoriti dalla riforma. Solo da un certo reddito in poi (50'000 €) lavoratori dipendenti, pensionati e percettori di altri redditi sono uguali “ma alcuni di essi sono più uguali di altri”, come avrebbe detto George Orwell nella sua distopia sulla società descritta magistralmente in uno dei suoi romanzi più famosi: “La fattoria degli animali”.

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1 https://redditonaturale.org
2 www.ardep.it

Fonte: https://www.laportadivetro.org/fisco-in-italia-ce-sempre-chi-e-piu-uguale-di-altri/

Taglio dell’IRPEF, calo medio a 264 euro: ma il vantaggio sarà maggiore per i redditi medio alti

La riforma fiscale che scatterà nel 2022 porterà a una riduzione media di prelievo per 27,8 milioni di contribuenti di 264 euro ma il vantaggio sarà maggiore per i redditi medio alti, quelli tra i 42mila e i 54mila, che dovranno versare all'erario 765 euro in meno in media. Il calcolo arriva dall'Ufficio parlamentare di Bilancio che in uno studio Flash sottolinea che in questa fascia più benestante che è pari al 3,3% dei contribuenti, viene concentrato il 14,1% delle risorse. Questa infatti è la platea che non beneficiava del cosiddetto bonus Renzi (che si esauriva completamente a 40mila euro di reddito) e in parte beneficia della riduzione dell'aliquota dal 38% al 35% (fino a 50mila euro mentre tra i 50mila e i 55mila si passa direttamente al 43%). Di fatto, sottolinea lo studio, i dirigenti avranno una riduzione delle imposte di 368 euro, oltre il doppio, in termini assoluti, di quella media degli operai, pari a 162 euro, mentre gli impiegati avranno un taglio delle imposte di 266 euro.

Lo studio analizza l'impatto della riforma anche guardando non ai singoli contribuenti ma al nucleo familiare chiarendo che il 20% delle famiglie più povere è "sostanzialmente escluso" dai benefici per effetto dell'incapienza fiscale. In pratica il 50% dei nuclei in condizione economica meno favorevole "beneficia di circa un quarto delle risorse complessive (circa 1,9 miliardi), mentre il 10% più ricco beneficia di più di un quinto delle risorse (1,6 miliardi)". Il 20% delle famiglie in condizione economica meno favorevole è di fatto escluso dall'ambito di applicazione dell'IRPEF a causa dell'elevato livello dei redditi minimi imponibili e quindi non è coinvolto dalla revisione dell'IRPEF. "Ciò implica - spiega l'UPB - che se le future politiche sociali vorranno ulteriormente sostenere i redditi delle famiglie più povere dovranno affidarsi a strumenti diversi dall'IRPEF, quali trasferimenti monetari diretti o meccanismi di imposta negativa".

Secondo le stime UPB il complesso degli interventi comporta a regime una riduzione del prelievo di circa 264 euro medi pro capite (circa l'uno per cento del reddito disponibile) per 27,8 milioni di contribuenti, pari a circa due terzi del totale.

L'onere complessivo a regime stimato in 7,3 miliardi, non si discosta in modo significativo rispetto alle valutazioni riportate nella Relazione tecnica (circa 7 miliardi). Il cambiamento fiscale è invece indifferente per oltre 14,5 milioni di contribuenti mentre si evidenzia un incremento di imposta per circa 372.000 individui, in media pari a 188 euro pro capite, per un totale di 70 milioni di euro complessivi. Ma va ricordato che esiste una clausola di salvaguardia che riguarda solo coloro che avevano il bonus Irpef attivato da Renzi, quindi con redditi bassi.

In termini di onere complessivo, il ridisegno delle aliquote e degli scaglioni rappresenta l'intervento predominante che assorbe circa il 79% delle risorse distribuite (5,8 miliardi) mentre il restante 21 % (1,5 miliardi) è egualmente ripartito tra il ridisegno delle detrazioni per il lavoro dipendente e quello delle detrazioni per pensionati e autonomi.

A fronte di una riduzione media di imposta per i soggetti che hanno un vantaggio di 264 euro, per circa la metà di essi il beneficio è inferiore a 185 euro, mentre un contribuente su 8 (il 12,5 per cento) beneficia per più di 500 euro. Per contribuenti con reddito inferiore ai 12.000 euro il beneficio medio si riduce sensibilmente per effetto dell'incapienza fiscale. Le prime due classi d reddito, dove si concentra circa il 36,9% dei contribuenti, beneficiano di circa il 6,7% delle risorse complessive (circa 500 milioni).

La UIL sottolinea che le stime UPB "sbugiardano" la riforma fiscale varata dal Governo e confermano l'analisi del sindacato "sulla iniquità ed inefficacia dell'intervento". "L'85% dei lavoratori e pensionati" - afferma il segretario confederale Domenico Proietti - "riceve solo qualche briciola. La UIL continuerà nella sua battaglia per un reale taglio delle tasse a lavoratori dipendenti e pensionati e per una svolta epocale nella lotta all'evasione fiscale".

Fonte: https://notizie.tiscali.it/economia/articoli/Taglio-Irpef/

Il comunismo fiscale dei più ricchi

Chi l’ha detto che in Italia il comunismo non è mai stato realizzato? Basta guardare l’evoluzione dell’ultimo scaglione dell’imposta sui redditi per comprendere come i più ricchi con il passare del tempo hanno scelto di condividere la posizione fiscale di chi è un po’ meno ricco. Proviamo a spiegare con un po’ di storia.

Nel 1948 la Costituzione stabilisce che “il sistema tributario è informato a criteri di progressività” (art. 53). Il che significa che la percentuale di tasse da pagare sale con l’aumentare della capacità contributiva.

Nel 1974 entra finalmente in vigore la riforma fiscale in applicazione dell’art. 53 della Costituzione, fissando 32 scaglioni e stabilendo l’aliquota più elevata al 72% per la parte di reddito superiore a 500 milioni di lire. Quella cifra, aggiornata sulla base del coefficiente ISTAT, oggi corrisponderebbe a 3'668'000 euro. Pare evidente che la cifra si riferisse a pochissimi super ricchi, i quali probabilmente hanno pensato che non fosse giusto trovarsi in questa ristretta cerchia di privilegiati.
Di conseguenza, nel 1983 si è deciso di ridurre a 9 gli scaglioni fiscali e di portare l’aliquota più alta al 65% per la quota superiore a 500 milioni di lire, ma che - a causa dell’inflazione - nel frattempo avevano perduto di valore, corrispondendo oggi a 858'868 euro, cioè un quarto della soglia stabilita nel 1974. In questo modo i ricchi sono aumentati come numero ma pagando meno tasse.

Nel 1989 i ricchi hanno pensato di aumentare ancora la condivisione: gli scaglioni sono scesi a 7, l’aliquota più elevata al 50%, applicata oltre la soglia di 300 milioni di lire, che indicizzati ad oggi corrisponderebbero a 336'833 euro. E così il numero dei ricchi è ulteriormente aumentato mentre l’imposta è diminuita ancora un po’.

Nel 2007, giunti in un nuovo millennio, è stata rilanciata l’idea di un maggiore coinvolgimento dei contribuenti più ricchi. Gli scaglioni sono diventati 5, l’aliquota è scesa al 43% sopra la soglia di 75'000 euro, che ad oggi sarebbero 94'050 euro.

Infine in questi giorni governo e parlamento stanno approvando la nuova riforma fiscale che prevede per il 2022 di ridurre gli scaglioni a 4, mantenere l’aliquota più elevata al 43% applicata a partire da 50'000 euro. In questo modo nella classe dei più ricchi rientreranno tutti i contribuenti con redditi superiori a 50'000 euro.

In questo periodo di festività immaginiamo quei pochi con redditi superiori a 3'668'000 euro che brinderanno alla salute di quelli che guadagnano poco più di 50'000 euro, proclamando: siamo tutti fratelli e perciò è giusto che tutti paghiamo la stessa aliquota fiscale. Finalmente in Italia in modo progressivo il comunismo – soltanto dei più ricchi – ha trionfato.

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