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Spesa pubblica per crescere e per essere credibili

Spagna, Portogallo, Irlanda, Grecia, che pure hanno subito frequenti declassamenti, hanno in qualche occasione goduto di progressi nelle valutazioni. Tutto ciò potrebbe indurre a pensare ad una nostra scarsa capacità di reazione. In realtà così non è, come evidenziato da alcuni dati molto significativi: una ricchezza netta delle famiglie italiane di circa 10.000 miliardi; un’evidente vitalità e una vocazione internazionale delle nostre imprese; un sistema bancario che si dimostra solido e in grado di realizzare progressive, importanti ristrutturazioni.

Il motivo di questo costante andamento negativo dei giudizi di rating è dunque da attribuire in larga misura alla scarsa capacità dimostrata negli anni dai governi nel riuscire ad affrontare in modo strutturale tutti quei problemi strettamente legati alla gestione delle risorse pubbliche e che penalizzano produttività e crescita economica. Se non si riusciranno a impostare politiche di bilancio in grado di contenere e qualificare la spesa pubblica, il permanere di un giudizio negativo sul nostro debito sovrano avrà inevitabili e pesanti ricadute socioeconomiche sull’intero sistema. La possibilità d’invertire questa tendenza è infatti strettamente legata alla necessità di porre in essere misure di politica economica e fiscale che si propongano due sostanziali obiettivi: evitare scostamenti di bilancio che abbiano obiettivi di breve termine, a meno che non siano giustificati da eventi straordinari come la pandemia; fare in modo che ogni incremento di spesa pubblica sia ancorato a una visione di lungo periodo, con iniziative che si dimostrino efficaci nell’amministrazione del denaro dei contribuenti.

Ogni volta che si crea debito, è la scelta di «allocazione delle risorse» che fa crescere il livello di «reputazione» degli investitori. I mercati non sono disposti ad apprezzare una spesa pubblica prevalentemente indirizzata verso l’aspettativa di assistenza da parte dei cittadini. Al contrario, il loro giudizio migliora quando la spesa è finalizzata ad alimentare la crescita, come nel caso d’investimenti sulla formazione professionale, sulla scuola, sulla ricerca, sulle nuove tecnologie, su infrastrutture stradali e ferroviarie e sulla salvaguardia e il riassetto dei territori. Su tutti questi temi, e in particolare sulla differenza tra «debito buono» e «debito cattivo», Mario Draghi è sempre stato moto chiaro e molto netto, così come nel corso di un intervento dello scorso luglio all’Accademia dei lincei: «Debito buono è quello che è orientato a favorire il tasso di crescita strutturale dell’economia perché in questo caso contribuisce a migliorare il rapporto tra debito e Pil», aggiungendo che «il debito può rafforzarci se ci permette di migliorare il benessere del nostro Paese come è avvenuto durante la pandemia».

In merito poi alla necessità di un utilizzo mirato di quella parte di debito (circa 120 miliardi) che il nostro Paese ha contratto con l’approvazione del Pnrr, ed il cui impiego sarà certamente monitorato da parte degli investitori internazionali, sempre Draghi ha evidenziato come «l’abbondanza di mezzi finanziari pubblici e privati sono circostanze eccezionali per le imprese e le famiglie che investiranno capitali e risparmi in tecnologia, formazione, modernizzazione. Ma è anche il momento favorevole per coniugare efficienza con equità, crescita con sostenibilità, tecnologia con occupazione».

La recente legge finanziaria approvata in breve tempo dal nuovo governo non sembra avere una «visione» ancorata a questi principi. Va dato grande merito, però, a Giorgia Meloni di non aver fatto ricorso a scostamenti di bilancio, nonostante le sconsiderate pressioni di qualche suo alleato.

Fonte: https://www.ecodibergamo.it/stories/premium/Editoriale/spesa-pubblica-per-crescere-e-per-essere-credibili_1445514_11/

 

Sette milioni di italiani hanno troppi debiti

Somiglia un po' a una corsa al ri­alzo tra esperti di statistica ma non c'è dubbio che il problema della povertà in Italia sia reale e stia diventando esplosivo: che siano veri i 6 milioni di poveri stimati dalla Caritas, o ancora più veri i 7 milioni di sovraindebitati di cui parla il rapporto presentato in Vaticano dall'Associazione Liberi dal Debito, una cosa è certa, nel suo insieme il Paese è benestante, ma questo benessere continua a concentrarsi in un numero via via più ristretto di tasche.

Fa scalpore il dato sui sovraindebitati, che è anche il più fresco: perché dipinge un quadro imprevisto, di gente che ha avuto la forza di chiedere e ottenere un prestito, scommettendo quindi sul futuro e sulle proprie capacità, ma poi soccombe di fronte alle difficoltà economiche e non riesce più a rimborsare il debito finendo quando va bene nelle mani delle banche o delle finanziarie autorizzate e quando va male in quelle degli strozzini.

E attenzione: sono dati, questi sull'extra-debito, precedenti alla crisi dell'energia e del caro-prezzi, che ha complicato le cose a tutti, con un'inflazione al 12%, mai così alta dal 1984, che aggrava ulteriormente una situazione già pesante. Diciamo subito che indebitarsi non è una mossa prudente, meno che mai oggi: «In questa situazione di carovita e caroprestiti galoppanti, contrarre debiti è pura follia!» afferma Gianmario Bertollo, fondatore di Legge3.it, che da anni aiuta famiglie e imprese ad uscire dal sovraindebitamento. «Oggi sappiamo che molte persone con­ traggono debiti solo perché non sanno gestire il proprio denaro e agiscono con leggerezza».

Un esempio classico? Andare in vacanza: non è una spesa accessibile a tutti, ma tutti la desiderano, comprensibilmente: «Si parla di almeno 35 milioni di persone che si sono concessi una vacanza la scorsa estate» dice Jimmy Greselin, presidente dell'Associazione Liberi dal Debito «ma dati alla mano, il 37% dei nostri connazionali ha un reddito tale che non permetterebbe di fare neanche una settimana all'anno. Pur di non rinunciare al viaggio, però, sempre più persone ricorrono ad un prestito, senza pensare agli oneri di rimborso.

Ecco, così inizia il sovraindebitamento». Un altro filone pericoloso è quello delle micro rate diffusissime tra i giovani. Poiché le varie piattaforme di acquisto non dialogano tra loro, è possibile che i 3 o 4 acquisti rateali fatti magari in queste settimane di fine anno raggiungano insieme un peso complessivo nella tasca dell'indebitato che non era stata previsto e che non è sostenibile. Non c'è una bacchetta magica che risolva il problema, in particolare per i privati cittadini imprevidenti.

Ma per le microimprese una via di fuga c'è ed è il ricorso. Un punto di svolta c'è stato nel 2012, con la Legge 3/2012, la cosiddetta "salva suicidi". Insieme al successivo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza sono nati con lo scopo di porre fine al problema dell'eccessivo indebitamento che, dopo la crisi del 2009, ha travolto il nostro Paese con conseguenze tragiche. Due provvedimenti normativi pensati proprio per chi, sebbene in buona fede, si è ritrovato in un vortice fatto di debiti ed interessi, con gli usurai sempre lì, pronti ad approfittarne.

(tratto da “Economia & Risparmio”, 22 novembre 2022)

Equilibrio dei conti e riforme o la tempesta perfetta ci travolgerà

Nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, o NADEF, il governo Draghi, oltre alle previsioni tendenziali per il triennio 2023-2025, ha indicato i dati pressoché definitivi del 2022.

Quest’anno il Pil italiano crescerà del 3,3% che si aggiunge al 6,7% del 2021. Ciò significa che abbiamo recuperato il buco del Covid che nel 2020 aveva ridotto il nostro PIL del 9 per cento. A fine anno avremo pertanto un PIL reale pro-capite pari a circa 27'400 euro, uguale a quello del 2019, ma purtroppo anche a quello che avevamo nel 2000. Si certifica quindi che il nostro reddito pro-capite è fermo da 22 anni.

Con una differenza però. Nel 2000 i nostri 27'400 euro erano superiori alla media dell’Unione europea del 20% e alla media dell’area euro del 3 per cento. Poiché tutti gli altri Paesi europei hanno aumentato, chi più chi meno, il loro reddito pro-capite, nel 2022 quei nostri 27'400 euro risultano inferiori del 7% alla media UE e del 15% rispetto alla media dei Paesi dell’euro. Se negli anni futuri l’economia italiana dovesse crescere dell’1% all’anno, il nostro PIL pro-capite non raggiungerebbe mai più la media europea. Se dovessimo invece crescere al 3% all’anno potremmo riportarci alla media dell’Unione Europea nel 2032 e a quella dei Paesi euro nel 2037.

Questa è la dimensione della sfida sulla crescita strutturale che il nuovo governo e tutti noi abbiamo di fronte.

Sui dati ufficiali del bilancio pubblico, quest’anno, il totale della spesa pubblica sfonda per la prima volta i mille miliardi di euro. Per l’esattezza 1'029 miliardi, cioè il 54,3% del PIL. Destinati a salire a 1'048 miliardi nel 2023. Il totale delle entrate è a 933 miliardi pari al 49,2% del PIL. L’anno prossimo sono previste a 981 miliardi. Per differenza, il deficit pubblico di quest’anno è di 106 miliardi, cioè 5,6% del PIL. Il debito pubblico sale a quasi 2'800 miliardi, ma scende in rapporto al PIL al 145,4% per una buona crescita reale e soprattutto per una forte inflazione.

Nella NADEF c’è inoltre un dato importante e non certo rassicurante. C’è infatti scritto che gli investimenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza, PNRR, sarebbero dovuti essere 30 miliardi, come si diceva nel Documento di economia e finanza, o DEF, di aprile. Nella NADEF si dice invece che quest’anno ne faremo soltanto 15, cioè la metà. Poi c’è anche scritto che faremo 41 miliardi nel 2023, 46 nel 2024, 48 nel 2025, 36 nel 2026. Questa mole di investimenti deve però effettivamente entrare nell’economia, mentre nella NADEF è una auspicabile previsione, purtroppo fragilissima in base ai dati di quest’anno.

Ecco perché il profilo tendenziale della NADEF risulta ottimistico sul piano della crescita e ottimistico sul piano anche dell’inflazione. Questo determinerebbe un aumento nominale del PIL con il quale si mostra che i conti pubblici sono in ordine. Il deficit pubblico totale quest’anno sarà il 5,1% e scenderà gradualmente al 3% al 2025. Il rapporto debito/PIL scenderebbe al 143% l’anno prossimo e al 139% nel 2025.

Le previsioni del mio Centro studi Economia Reale indicano invece che l’anno prossimo la crescita sarà sotto zero (-0,1%) e la ripresa successiva sarà modesta e asfittica e nel 2025 saremmo allo 0,9 per cento. Di conseguenza, molto più a rischio appare il quadro di finanza pubblica. Il deficit pubblico scende, ma meno di quanto si dica nella NADEF mentre il rapporto debito/PIL non scende nel 2023, anzi sale a 147,1% contro 146,8% di quest’anno.

In conclusione quindi, la frenata è più forte, la ripresa del biennio successivo è più debole e l’equilibrio dei conti pubblici più fragile.

Il vero confronto allora va fatto soprattutto in riferimento alla urgenza di prevenire al più presto quella che molti chiamano la “tempesta perfetta”, cioè due eventi a tenaglia: minori investimenti del PNRR associati a riforme deboli e crisi da debito con lo spread sopra la soglia dei 500 punti base con tassi raddoppiati.

Fonte: https://www.ilsole24ore.com/art/equilibrio-conti-e-riforme-o-tempesta-perfetta-ci-travolgera-AE9HEtDC

 

I debiti sono debiti anche con altre parole

Da qui a fine anno, il Governo è atteso ad una specie di macchina della verità sulle scelte di finanza pubblica, con ripercussioni che possono condizionare addirittura i prossimi 5/7 anni.

L’Unione Europea sta infatti per riavviare la procedura del patto di stabilità, che in questi anni è stato solo sospeso. Sarà un po’ meno «terroristico» del precedente, ma per i Paesi indebitati non sarà tanto leggero. Cancellato l’irrealistico obbligo di rientrare ogni anno di un ventesimo del debito (per l’Italia da 100 a 150 miliardi), sarà previsto un percorso di severa valutazione per appunto da 4 a 7 anni. Governi con le mani legate per intere legislature, perché bisognerà dimostrare una continuativa serietà fiscale e di spesa. Gli scolari indisciplinati dovranno fare i compiti a casa e portare buoni voti, altrimenti niente finanziamenti UE e, se bocciati, veri e propri commissariamenti.

La porta di ingresso di questo percorso è l’imminente presentazione della legge di bilancio. Si sente parlare di nuove spese (pensioni, condoni, tasse piatte) in nome di vecchie promesse azzardate, ma i conti bisogna sempre farli con la realtà. Non tragga in inganno che il 2022 si chiude meglio del previsto: il terzo trimestre ha segnato un +0,5 che nessun esperto aveva indicato, sottovalutando il boom del benemerito turismo e dei servizi (ma la manifattura è sotto) e addirittura l’anno segnerà un +3,9%. Avessimo avuto, a partire dal 2000, solo la metà di questa crescita, invece che lo zero virgola medio, saremmo un Paese leader.

Ma tutti temono la recessione nel 2023. Secondo Moodys (sempre pronta a darci un rating negativo) andremo sotto dell’1,4%, sia pur meglio dei tedeschi (-1,8%). La Francia starà meglio ma sempre sottozero di 7 decimali. Solo gli USA stanno sopra, ma solo dello 0,4. Finché diamo fondo a bonus vari (un miliardo al mese solo per la benzina, anche quella delle Ferrari) stiamo a galla, ma l’inflazione morderà almeno per tutto il primo semestre. Dunque è necessaria la prudenza predicata dal ministro Giorgetti, e molto meno dal suo partito. A non far niente, già c’è spesa aggiuntiva. Gli aumenti automatici delle pensioni del 7,3% o i contratti della scuola, cose sacrosante, assorbono miliardi. Accontentare le clientele farebbe traboccare il vaso. Dato il nostro debito, salgono alla grande gli interessi. Nel 2022, la cifra sarà attorno ai 77 miliardi (era l’anno prima di 62,9). Questo è il guaio di avere un debito sopra il 150% di quel che produciamo, e qui sta la prova del fuoco del futuro patto di stabilità europea. La Germania sta rallentando, ma ha riserve tali che ha potuto stanziare altri 200 miliardi freschi per il caro energia senza ricorso al debito.

Ogni anno, per noi, occorre poi la copertura di centinaia di miliardi di titoli del debito, che pagano stipendi pubblici e pensioni. Erano 387 nel 2020, saranno 406 l’anno prossimo. In parte provvede ancora la BCE, come ha fatto in toto negli anni felici e spensierati di Conte, ma c’è un fabbisogno nuovo che nel 2022 è stato coperto da Francoforte per 37 miliardi, e nel 2023, quando salirà a ben 63 miliardi, dovremo coprirlo sui mercati. Gli sciocchi lo chiamano neoliberismo, in realtà si tratta di fiducia o non fiducia di chi ti presta i propri risparmi. E qui cascano le illusioni di chi cambia le parole cercando di far dimenticare la sostanza e invoca eterni «scostamenti di bilancio», che sono in realtà nuovi debiti, così come propugna «paci fiscali» che sono soltanto condoni, schiaffi ai contribuenti in regola. Già si parla di un bilancio scoperto del 4,5% (l’Europa chiede al massimo il 3) e dunque dichiariamo nuovi debiti aggiuntivi. I mercati ci guardano: si fideranno?

Fonte: https://www.ecodibergamo.it/stories/premium/Editoriale/i-debiti-sono-debiti-anche-con-altre-parole_1444401_11/

 

Lagarde scivola (in buona fede?) sulla differenza tra inflazione e stagflazione

Ricordate il periodo della crisi economica ellenica, quando il popolo greco fu mandato al lastrico, a fare la fame, con carenza di medicinali salva vita e con la possibilità di prelevare non più di 20 euro al giorno dal Bancomat? Bene, allora la Lagarde era alla direzione del Fondo Monetario Internazionale.

La Lagarde l’anno prima che assumesse la direzione della Banca Centrale Europea al posto di Draghi, dichiarò (bontà sua) di aver sbagliato con l’applicazione dell’austerity contro la Grecia. L’ammissione di colpa arriva (guarda caso) una settimana dopo le trascrizioni rese note da Wikileaks. Il classico pianto del coccodrillo dopo essersi fagocitato l’ultimo mal capitato. Ovviamente non seguirono le necessarie e doverose scuse e risarcimenti al Popolo Greco! Allora Mario Draghi era alla conduzione della BCE, che unitamente alla Commissione Europea avevano formato la famigerata “Troika” che produsse un grande scontento generalizzato verso l’Unione Europea, avendo abbondantemente tradito l’articolo uno della Costituzione che prevede al primo posto delle finalità dell’Unione la solidarietà.

Adesso, gli ultimi interventi dimostrano (a mio parere) che la Lagarde stia prendendo lucciole per lanterne e dato che costei non mi pare “una stupida” qualche atroce dubbio m’assale.

È in atto in ambito BCE una sottostima delle cause dell’inflazione in corso, determinata dalla guerra in Ucraina e dalla carenza di approvvigionamenti energetici che hanno fatto lievitare a dismisura il costo del gas, le cui reale cause le vedremo dopo. Ritengo che l’Europa non sia in inflazione, ma in stagflazione, ovvero aumentano i prezzi, senza alcuna crescita del PIL e questa viene considerata peggiore dell’inflazione. La stagflazione se non opportunamente affrontata, porta inevitabilmente alla recessione.

In presenza di uno straordinario aumento dei prezzi, con riduzione dei consumi, la BCE, da lei diretta, procede ad innalzare il costo del denaro per ben tre volte in pochi mesi e il terzo innalzamento del tasso di sconto è stato dello 0,75% – che accompagnato dai due precedenti, sta facendo lievitare vistosamente gli interessi bancari sui mutui e su tutti i debiti contratti con il sistema bancario da famiglie e aziende. Non solo, ha già preannunciato che seguiranno a breve ulteriori rialzi.

I governi europei stanno cercando con il lanternino i fondi per fronteggiare l’oramai crescita incontrollata dei costi dell’energia e la BCE che fa? Innalza i tassi, consentendo alle banche senza battere ciglio, di incassare più interessi sui loro prestiti, mentre una gran parte delle famiglie non hanno nemmeno i soldi per pagare le bollette e migliaia di aziende sono al collasso. Ma se le aziende già sono in crisi, come lo stesso le famiglie, non si rischia di accelerare il processo di bancarotta? Il costo della vita aumenta non per effetto dell’inflazione, ovvero per effetto di nuovi investimenti e di eccesso di moneta circolante producendo una crescita, anche se moderata, del PIL – qui stiamo soffrendo per un aumento incontrollato dei prezzi per eventi esterni al processo produttivo, che stanno frenando i consumi, proprio perché non si hanno le risorse finanziarie disponibili. E se questa non è stagflazione, quella che trovi ben descritta su qualsiasi testo di economia politica, ditemi voi cos’è.

Il comportamento adottato dalla BCE apre un preoccupante scenario. Se le famiglie e le aziende non hanno più i denari per pagare l’energia, perché allora, si aggrava la situazione aumentando il costo del denaro? La Lagarde non è stupida, qual è il suo fine? Lei sa bene che famiglie e aziende adesso non avranno le condizioni per restituire i prestiti avuti dalle banche che si trasformeranno in “sofferenze” e che il sistema bancario, come hanno sempre fatto, andrà a batter cassa dal Ministero del Tesoro, che non potrà che rispondere a picche questa volta. E allora perché?

La mia ipotesi è la seguente.

Da un po’ di tempo sta prendendo piede una verità da molti sottaciuta: lo Stato italiano è povero, ma gli italiani sono ricchi. Non storcete il naso, è la sacrosanta verità. Tanto ricchi da superare abbondantemente i 5.400,00 miliardi di euro di risparmi disponibili sul sistema bancario e finanziario. Qui di seguito riporto una tabella con la quale potete constatare la reale dimensione del fenomeno che, come potete immaginare, fa gola a non pochi pescecani della finanza.

Se a quanto anzidetto ci aggiungiamo che l’80% delle famiglie italiani detengono la proprietà della loro abitazione, la ricchezza degli italiani arriva a superare abbondantemente i 10'000,00 miliardi. Questi dati in riferimento al PIL (Prodotto Interno Lordo 2021: 1'782,00 miliardi) e all’ammontare complessivo del debito pubblico (2'790,00 miliardi), ci portano ad affermare senza ombra di dubbio, che mediamente i cittadini italiani sono più ricchi dei tedeschi, dei francesi e degli inglesi.

Immagino già la vostra reazione di fronte a questa affermazione che ritengo legittima e giusta, in quanto in queste statistiche vige sempre la regola del pollo di Trilussa: tutti mangiamo, secondo la statistica, un pollo a testa, solo che tanta gente non ne vede uno da anni.

È questo uno dei motivi per cui, nonostante il debito pubblico italiano sia il terzo per dimensioni nel mondo, le aste dei nostri titoli di stato, rappresentativi del nostro debito pubblico, sono sempre ampiamente sottoscritte e se analizzate bene i numeri, constaterete che il Ministero del Tesoro se chiede ai mercati di sottoscrivere dieci miliardi di BTP, le richieste sono abbondantemente sempre al di sopra di tale importo. Consentitemi di aggiungere una ulteriore particolarità della finanza italiana, anch’essa non sempre divulgata. Il 40% del nostro debito pubblico circa 1'150,00 miliardi sono detenuti da soggetti esteri. I giapponesi hanno un debito pubblico di 7'322,00 miliardi (al 31 dicembre 2021), ma è interamente detenuto dal popolo nipponico, cosa che consente al Giappone di non essere sottoposto alle speculazioni dei mercati finanziari stranieri. Il più grande debito pubblico al mondo è detenuto dagli USA pari 28'429,00 miliardi di dollari (al 31 dicembre 2021) la cui garanzia è rappresentata, oltre che dalla sua capacità di condizionare le altre economie, dalla sua potenza militare.

Alla luce di quanto anzidetto, l’incremento sproporzionato dei costi dell’energia, adesso sovraccaricato dall’aumento del costo del denaro, in un contesto di ovvia riduzione dei consumi, dovrà inequivocabilmente richiedere l’intervento dello Stato. Ma con quali soldi? Ecco affacciarsi l’ipotesi di una super tassa da applicarsi sugli ingenti risparmi degli italiani, solo che è mia opinione che stanno attendendo quel tempo necessario per favorire ai soliti noti ad attuare le necessarie manovre finanziarie per eludere l’eventuale futura tassa, che come sempre graverà solo ed esclusivamente sui risparmi di una vita di lavoro delle famiglie degli italiani.

Soldini questi che per il solito gioco perverso delle tre carte, oramai noto a tutti, contribuirà a rendere le famiglie sempre più povere e disagiate e aumentare la ricchezza dei soliti paperoni. Tutto ciò non scatenerà alcuna rivolta sociale, perché gente come la Lagarde e Draghi sono molto in gamba nel fare gli interessi delle lobbie e sanno che non dovranno tirare troppo la cinghia. Perché sino a quando agli italiani lasceranno almeno per la maggior parte, la possibilità di farsi un panino con un po’ di mortadella, questi se ne guarderanno bene di scendere a protestare in piazza.

Ritornando alla ricchezza quantificata esistente sul nostro territorio nazionale, il dato non tiene conto della sua distribuzione, che invece qui di seguito vi riporto:

Fa specie vedere quel 40% della popolazione ancorata al di sotto dei 15.000,00 euro l’anno. Anche su questo dato s’innesterebbe un’altra riflessione: l’evasione fiscale soprattutto fiorente nelle attività imprenditoriali e commerciali individuali, per cui, costoro riempiono i talk show televisivi politici piangendosi addosso, lamentando che dopo 40 anni di lavoro percepiscono pensioni di 500 euro. Ci credo, hanno dichiarato sempre redditi annuali ai limiti della sopravvivenza, non pagando tasse e nemmeno contributi. Questi purtroppo rappresentano una fascia notevole che non va assolutamente accomunata alla vera povertà e indigenza in cui veramente versano milioni di famiglie.

Trovo macroscopicamente insensato e per certi versi ritengo complici di tutto ciò, i governi europei, che nulla stanno facendo in merito. Non mi meraviglio di Draghi, essendo stato colui che ha sempre operato nell’interesse delle lobbie della finanza, basta vedere i provvedimenti presi nella veste di Capo del Governo della nostra Repubblica. Accorgimenti certamente presi in una fase alquanto difficile e delicata, ma che hanno rafforzato gli interessi delle lobbie e non certo dei ceti sociali meno abbienti, basta vedere l’orientamento sociale ed etico delle riforme del fisco e della giustizia, per non parlare degli investimenti in campo della disabilità generale.

Il precedente concetto espresso su Draghi non ne inficia le sue grandi capacità di straordinario tecnico della finanza mondiale, ma ritengo che, fare il Capo di un Governo di uno stato come il nostro, richieda doti ben diverse di quelle necessarie a ricoprire il ruolo di Governatore di una Banca Centrale.

Ovviamente non sono qui per dare addosso alla La Garde e a Draghi, ma per cercare di fare chiarezza in un contesto certamente non facile, adducendo le motivazioni economiche e finanziarie per cui ritengo errate certe decisioni assunte.

Uno dei compiti fondamentali della BCE, oltra a stampare moneta, è quello di combattere l’inflazione, cioè l’aumento dei prezzi, del costo della vita, in quanto questa, superata la soglia del 2% annuo, provoca turbolenze sui mercati finanziari con particolare riferimento al valore dell’euro. Addirittura, una inflazione contenuta intorno all’1% è ritenuta salutare per l’economia.

È la BCE controlla il flusso monetario e i PIL dei vari stati membri (escluso Polonia e Ungheria – fuori ambito euro ma membri dell’Unione Europea) attraverso questi fondamentali interventi:

1. Immette o ritira ingenti quantità di circolante monetario per rallentarne lo scambio, che in termini economici viene chiamato “velocità della moneta”;

2. Acquista o vende titoli di stato rappresentativo del debito pubblico degli stati membri (nel caso nostro PTP-BOT ecc.) per tutelare da eventuali speculazioni che i mercati, per tanti motivi (soprattutto per malgoverno) potrebbero farne deprezzare il valore o farlo lievitare oltre certi parametri – e qui a onore del vero la BCE ci è stata favorevole, non tanto perché Draghi ci amava ma perché certi scossoni sul debito pubblico di uno stato possono avere gravi ripercussioni sul valore della sua moneta, e nel nostro caso l’euro;

3. Infine, per rallentare l’inflazione su uno o più paesi, interviene frenando nuovi acquisti e investimenti, aumentando il tasso di sconto, ovvero il costo del denaro di scambio nel sistema bancario. Un aumento del tasso di sconto automaticamente genererà un aumento dei tassi d’interesse da pagare sui debiti che famiglie e aziende hanno contratto con le banche. Se aumento il costo del denaro, avrò come conseguenza una minore circolazione, in quanto ci penserò due volte ad andare a prenderlo a prestito in banca. Non avendo a disposizione quel denaro, non potrò acquistare nuovi prodotti e servizi.

Questo in un ambito in cui i mercati si autoregolamentano da soli per effetto dell’offerta dei prodotti e servizi e della loro domanda da parte degli acquirenti è ritenuta una prassi positiva.

In questo periodo il sistema economico è stato messo a dura prova, prima dalla pandemia, poi dal conflitto tra Ucraina e Russia, che comunque ha interessato e coinvolto anche la generalità degli Stati Occidentali. La pandemia per effetto dei lockdown ha messo a tappeto non poche categorie produttive di merci e servizi, per cui i governi son dovuti intervenire pesantemente con enormi quantità di contributi. Questa situazione, solo verso la fine del 2021 ha prodotto una modesta inflazione, comunque sotto il 3%, dovuta per lo più ad un aumento sconsiderato dei prezzi di quelle materie prime che in particolare erano ricadute sotto i vari bonus statali. Il bonus del 110% ha riavviato in modo considerevole i settori legati all’edilizia ma ne ha fatto crescere in modo abnorme i prezzi, oltre ad aver prestato il fianco a non pochi raggiri, grazie anche al solito male italiano: la carenza o la totale assenza di controlli. Quindi risulta logico che l’incremento del PIL del 2021 è da ritenersi un po’ drogato dagli aiuti di stato che hanno aumentato il debito pubblico.

In febbraio di quest’anno il conflitto russo-ucraino ha scatenato una vera e propria guerra sull’approvvigionamento delle fonti energetiche, facendo crescere a dismisura i costi dell’energia elettrica e del gas.

L’energia che è alla base della produzione e del trasporto della stragrande maggioranza dei prodotti e servizi, colpita da aumenti fuori di ogni logica, ha generato una perversa catena di aumenti che chiaramente si sono abbattuti tutti sui consumatori finali. I nostri tecnici dell’ISTAT in settembre 2022 hanno stimato una inflazione, ovvero un incremento dei prezzi dell’8%, quando mediamente nel corso di questi ultimi mesi l’incremento del costo dei carburanti ha toccato una media del 32/35% con punte oltre il 60%.

Sugli scaffali dei supermercati i prodotti di largo consumo hanno subito nel più favorevole dei modi un incremento non inferiore al 20% – ma non pochi prodotti hanno abbondantemente superato il 50% e alcuni sono già al 100%.

Quindi, secondo la BCE questa inflazione va immediatamente contenuta attraverso l’aumento del costo del denaro? Ovvero, oltre all’aumento generalizzato della vita quotidiana, non perché è incrementata la produzione ed è aumentato il PIL e non c’è nemmeno un eccesso di moneta circolante. Facciamo aumentare il costo del denaro disincentivando famiglie e aziende a chiedere nuovi prestiti, rallentando così il comparto produttivo e propulsivo del Paese e venendo meno la disponibilità finanziaria, si ridurranno gioco forza i consumi, che a loro volta innesteranno un processo di recessione pericoloso con irreversibile chiusura di migliaia di aziende e un pauroso incremento del tasso di disoccupazione.

Penso che ci siate già arrivati da soli. Le aziende stanno chiudendo perché non riescono a far fronte agli aumenti dell’energia, le famiglie veramente sono alla canna del gas e tu BCE ti attacchi a questo tram di tragedie, aumentando il costo del denaro? Scusate ma di fronte a cotanta imbecillità, una educata irritazione è d’obbligo.

Trovo tutto ciò scellerato, fuori da ogni logica, ma quello che ancora di più trovo perverso e illogico, è che i governi in merito alle decisioni della BCE tacciono. Che lo faccia Draghi, a me personalmente importa poco, in quanto viene considerato il paladino degli interessi della finanza, ma tutti gli altri governi, che cavolo stanno a fare? È di due giorni fa, finalmente, la labile presa di posizione di qualche membro della commissione finanze della Commissione Europea.

In tutto questo marasma europeo, come sempre chi sta peggio di tutti siamo noi italiani, che con un debito pubblico alle soglie dei 3000 miliardi di euro ci dobbiamo pensare 70 volte se fare uno scostamento di bilancio, mentre la Germania, senza batter ciglio, ha varato una manovra a favore delle sue aziende e dei suoi cittadini di ben 200 miliardi.

Ci apprestiamo al varo del nuovo governo di centro destra che già da adesso sarà chiamato a ricercare rimedi a numerosi problemi atavici e incancreniti, che hanno causato un notevole peggioramento degli effetti della crisi in corso, rispetto a tutti gli Stati dell’Europa Unita. Prima avevano un fanalino di coda che era la Grecia, ma stando agli ultimi rilevamenti pare che siamo diventati noi il fanalino di coda di questa Europa. Non mi resta che fare gli auguri a questa nostra malandata Italia.

Apro una breve ma necessaria parentesi in merito alla crisi energetica, conseguenza della guerra in Ucraina, questo è il pretesto ufficiale, mentre a far lievitare il costo dell’energia, aldilà della sua carenza, sono le speculazioni in atto da mesi alla borsa di Amsterdam – il TTF Title Transfer Facility un mercato virtuale per lo scambio del gas naturale con sede in Olanda il principale mercato di riferimento per lo scambio del gas in Europa, dove la speculazione in atto non è opera dei russi. Di questo Draghi ne è stato consapevole al punto che ha emanato un decreto per tassare gli extraprofitti delle società energetiche, prima del 10% – poi del 25%. La previsione governativa (non la mia) di un incasso erariale era di ben 11 miliardi, che ci fa ipotizzare che questi extraprofitti sulla compravendita del gas, incassati da aziende italiane o presenti fiscalmente in Italia, abbiamo realizzato un plusvalore dai 45 agli 80 miliardi.

Se poi accostiamo a questo, l’irremovibilità di Draghi ad apportare uno scostamento di bilancio di 30 miliardi a favore delle famiglie e aziende in difficoltà, voi capite che qualcosa non quadra e quello che non quadra è sempre quella parte dell’Italia che continua ad arricchirsi a scapito dei cittadini, aumentando sempre più il divario socioeconomico.

Non posso fare a meno di riportarvi questa interessante informazione. Una delle società italiane che hanno realizzato i maggiori extraprofitti è l’ENI. Questo è il risultato della folle politica indiscriminata delle privatizzazioni, perché alcuni settori strategici per la sicurezza nazionale, non dovevano essere venduti (se ci aggiungiamo una s al “venduti” penso che non commetteremmo nessun peccato veniale). Ma il paradosso economico degli anni 90 è rappresentato dal fatto che, mentre lo Stato vende sul mercato le grandi aziende nazionali e incassa dei soldini, che per magia anziché far diminuire il debito pubblico, lo fanno lievitare non poco.

L’Ente Nazionale Idrocarburi fu creata dallo Stato Italiano come ente pubblico nel 1953 sotto la direzione dell’ingegner Enrico Mattei, che fu presidente fino alla sua morte nel 1962 e fu convertita in società per azioni nel 1992. Dal 1995 al 2001 lo Stato italiano ha venduto in cinque fasi parte consistente del capitale azionario, conservandone solo una quota del 30% (Governo Amato a cui vorrei chiedere quanto allora abbiano veramente amato l’Italia). Nel 1992 l’Eni contava 144'000 dipendenti, nel 2021 appena 32'000! Un’ultima chicca: ha stabilito la sua sede sociale e fiscale in Olanda.

Fonte: https://www.glistatigenerali.com/macroeconomia_materie-prime/lagarde-scivola-in-buona-fede-sulla-differenza-tra-inflazione-e-stagflazione/

 

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